QUANDO LA RADIO BUTTA VIA IL CIBO

I nostri genitori ci hanno sempre insegnato a non buttare il cibo. Credo sia un comandamento sacro, uno dei più importanti. Lo squilibrio alimentare fra le varie parti del mondo, non è «un» problema. È «il» problema dei problemi. E parlare di tecniche di coltivazione, di stili di vita e comportamenti alimentari, di approccio laico e non pregiudiziale (né in positivo, né in negativo) agli organismi geneticamente modificati, è parlare del tema più importante del mondo.
Parlo anche per fatto personale. All’università, gli esami di storia sociale dell’agricoltura sono quelli che ricordo con più piacere. Anche perché sta tutto lì, nell’insegnamento che citiamo spessissimo e ci arriva dalla scuola storiografica parigina delle Annales, di Jacques Le Goff, di Marc Bloch, di Lucien Febvre, di Fernand Braudel. I signori che ci hanno insegnato che la storia non è fatta di date e di battaglie, ma che la storia siamo noi. «Siamo noi, questo chicco di grano», cantava Francesco De Gregori.
Questo chicco di grano, per l’appunto. Perché qui sta il cibo buttato via, qui sta il peccato mortale dell’ultima trasmissione di Radiodue, Dalla fame alla sazietà, il ciclo di Andrea Segrè e Alberto Grossi. La trasmissione va in onda, nell’ambito di Alle otto della sera ogni giorno, dal lunedì al venerdì, dalle 20 alle 20,30, su Radiodue fino al 20 ottobre, con la regia di Giancarlo Simoncelli. E, come spesso accade, parte da un’ottima idea. Buttata via man mano che Segrè va avanti nella sua narrazione. Peccato ancor più grave perché il ciclo segue quello, bellissimo, su Sant’Agostino firmato da Maurizio Schoepflin. E la differenza si sente.
Le premesse sono ottime, gli studi sull’alimentazione e la sua evoluzione sono serissimi, il curriculum di Segrè è una specie di catalogo dell’argenteria di famiglia con tutto il meglio a disposizione. Eppure, la trasmissione non funziona. Eppure, anche intuizioni ottime naufragano in una narrazione che non riesce ad avvincere, che non ha i ritmi giusti, che non buca gli apparecchi. Cibo buttato via, letteralmente.
Certo, nelle prossime puntate, c’è il tempo per rimediare: la monografia dedicata al riso, «il più universale dei cibi» e quella sull’agriturismo promettono bene, così come è stata un’ottima idea quella di dedicare una trasmissione a «luci ed ombre del boom degli anni Sessanta» che partisse da Marcovaldo e i funghi in città.

E lo scontro fra il fast food e lo slow food, se montato bene, potrebbe valere una puntata di Tutto il calcio minuto per minuto dedicata alle Coppe Europee o ad un posticipo serale. Raccontare (e sentire) Carlin Petrini si presta perfettamente all’idea del match.
Ma, al momento, siamo di fronte a una trasmissione sbagliata. Che regala sazietà di idee e una grandissima fame di buona radio.

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