La stagione dei premi letterari coincide più o meno con la stagione estiva. Si apre col «Viareggio», prosegue con il «Bancarella» e con lo «Strega», si chiude col «Campiello». In mezzo, tante altre piccole e medie occasioni offerte da «Premiopoli» per dare visibilità a un titolo che leditore di riferimento vorrebbe vedere sotto tutti gli ombrelloni dItalia e che però magari in autunno, inverno e primavera lha fatto sospirare sui risultati di vendita. Eppure, non si può fare a meno di continuare a sperare che i premi letterari premino i bei libri. O confermino gli accertati successi.
In almeno un caso letterario, questanno invece non è stato (ancora?) così. Parliamo di un titolo che ha fatto gioire, sussultare e sorprendere persino il suo editore, Mondadori, per tacer delleditor e delladdetta stampa. Parliamo del romanzo che, partito alla fine di ottobre 2005 con un lancio spontaneo da parte di un quotidiano che quando sinnamora gli piace dirlo a tutti, ovvero Il Foglio, si è ritrovato a pochi giorni dalluscita in vetta alle classifiche per un passaparola di critica e pubblico che è ormai patetico definire raro nel nostro Paese.
Parliamo del libro di un quasi esordiente, che mai e poi mai ci si sarebbe sognati, prima di constatare - Demoskopea e sell out alla mano - le centomila copie vendute e le quasi trenta settimane in classifica, di appaiare, chessò, a un Baricco qualunque. Parliamo del romanzo che ricostruisce la «storia vera al teatro dei pupi» della giovane e bella Eugenia Lenbach «primo soldato del Reich», spia scelta di Hitler, discesa in Sicilia nellestate del 1943 per ordine diretto del Nido delle Aquile. Romanzo intorno a cui si è sviluppato nel corso dei mesi un singolare dibattito che, in un vivace batti e ribatti da destra, da sinistra e da centro, ha avuto come soggetto non le strumentalizzazioni di colore a cui le precise connotazioni politiche dellautore avrebbero potuto dare adito, ma la qualità culturale e la densità linguistica della storia.
Ecco, quel romanzo lì, da «Premiopoli» finora ha avuto ben poche soddisfazioni. Quel romanzo lì, di cui si sono decantati, appunto da destra e da sinistra, il «misticismo visionario», la capacità di rievocazione storica, le qualità insieme «affascinanti e repellenti» di «godibile pastiche siculo-italiano», non porta ancora in copertina alcuna premiazione ottenuta.
Ora quel romanzo lì è nella cinquina dei finalisti per il «Campiello», il premio di fine stagione, quello in consegna ad ombrelloni chiusi.
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