Quei «precari a vita» dell’Università

Sta per concludersi l'ultimo atto della lunga vicenda dei precari dell'Università di Genova: una rappresentanza incontrerà il Rettore De Ferrari martedì, sei giorni prima della scadenza della graduatoria in cui aspettano da tre anni e questo viene interpretato come un segno di speranza, almeno per una parte di essi, nella vicenda il cui inizio è databile 9 giugno 2008, quando i 500 lavoratori precari scesero in piazza per la prima volta. Erano e sono i cosiddetti «co.co.co», che lavorano da anni con contratti «atipici» per svolgere quei lavori molto tipici, propri di un ente universitario e di una pubblica amministrazione. Sono ricercatori da anni in attesa di concorsi, e tecnici e amministrativi impiegati in mansioni ordinarie per sopperire alle carenze di personale in organico. Sono quelli che fanno esami, tengono corsi e seminari, curano i corsi di laurea, affiancano o sostituiscono il personale strutturato in tutte le fasi dei processi amministrativi, consentono di mantenere attive le biblioteche e una miriade di sportelli come quelli che si occupano degli studenti stranieri e disabili. Gente che ha lavorato per una vita con contratti di collaborazione coordinata e continuativa, rinnovati ogni anno ma che con la fine del 2008 sono diventati improrogabili. A partire da quel momento questi lavoratori si sono uniti per chiedere all'Ateneo un piano di stabilizzazione, secondo quanto previsto alle leggi finanziarie 2007 e 2008, e di prorogare, nel frattempo, i contratti in scadenza, al fine di evitare la perdita del lavoro e l'impoverimento delle loro famiglie. Problema di dimensione sociale, per una città come Genova, che fino ad oggi non è stato recepito neppure dal contesto politico e sindacale. Vi sono precari che hanno lavorato nelle diverse strutture universitarie per decenni (con stipendio medio dai 1000 ai 1200 euro mensili) e c'è persino chi è andato in quiescenza, dopo 27 anni di precariato, con 137 euro di pensione mensile netta. «Stabilizzare» vuol dire tramutare, quando siano maturati i requisiti previsti dalla legge, il «tempo determinato», cioè precario, instabile, in «tempo indeterminato», vale dire stabile, definitivo, inserito in organico, come dovrebbe essere ogni lavoro.

Ma, ad eccezione di 33 persone che per loro fortuna si sono viste applicare quanto previsto per legge, per i precari dell'Università di Genova c'è stato un progressivo declino: un numero imprecisato è stato spostato nelle cooperative e poi utilizzato nella forma del lavoro a somministrazione, altri hanno effettivamente ottenuto il rinnovo dei contratti ma con durate troppo brevi per rappresentare una soluzione. Di tanti si è persa traccia. Sorprendente che la vicenda di quelle cinquecento persone e delle loro famiglie si sia svolta tra l'indifferenza delle istituzioni e della pubblica opinione.

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