Quel neonato «gay» è un pericolo

Lo scienziato Robert Sullivan per un anno, per centinaia di notti e migliaia di ore, si è appostato nei vicoli di New York per studiare i ratti. Con lo spirito dello storico ma anche dello psicologo

Alcuni giorni di lontananza dall’Italia mi hanno impedito di commentare il manifesto, a firma della Regione Toscana, dal titolo «L’orientamento sessuale non è una scelta». Nel testo si dichiara che è indifferente se l’origine dell’omosessualità sia genetica o sociale, però sul manifesto campeggia l’immagine di un neonato sul cui braccialettino, anziché il nome, si legge «homosexual».
Quando si discute di qualcosa bisognerebbe sapere bene di cosa si parla e perché se ne parla. Altrimenti (come nel 90 per cento dei casi) l’ambiguità domina. La malafede sprizza talmente da tutti i pori di questo atto comunicativo (testo e immagine) orientato non già ad informarci di qualcosa a proposito dell’omosessualità - infatti non dice niente - ma ad incitare ad azioni volte a legiferare nel senso di un riconoscimento pieno dell’omosessualità, dei suoi diritti eccetera.
L’immagine di un povero neonato privato del proprio nome ci dice, nella sua sinistra miseria, che sebbene non si sappia se l’origine dell’omosessualità sia genetica o sociale, sarebbe comunque meglio che fosse genetica, così avremmo risolto tutto da subito, senza troppe discussioni sulla società.
Questo permetterebbe di evitare il vero scoglio: posto anche che esistano predisposizioni genetiche (anche l’obesità, allora, o l’anoressia, o l’infarto, ecc.: e allora perché non intervenire su questi aspetti riconoscendo altrettanti diritti?), il problema è il profondo disordine educativo nel quale si trova a vivere un bambino, oggi. Oggi un bambino in Italia impara parole come «stupro», «gay», «transessuale» e altre peggiori prima di sapere non dico cosa significhi amare una persona, ma prima di sapere anche che cos’è un atto sessuale.
Questo la dice lunga sull’irresponsabilità e sulla pochezza umana e civile di pubblici amministratori che si permettono di usare strumenti comunicativi come questo.

L’immagine di un bimbo senza nome ci parla di un mondo in cui essere una persona, col proprio nome, non avrà più nessun valore per l’attribuzione dei diritti. Qualcuno vorrebbe farci tornare agli Assiri: opponiamoci con tutte le nostre forze.

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