Alcuni giorni di lontananza dallItalia mi hanno impedito di commentare il manifesto, a firma della Regione Toscana, dal titolo «Lorientamento sessuale non è una scelta». Nel testo si dichiara che è indifferente se lorigine dellomosessualità sia genetica o sociale, però sul manifesto campeggia limmagine di un neonato sul cui braccialettino, anziché il nome, si legge «homosexual».
Quando si discute di qualcosa bisognerebbe sapere bene di cosa si parla e perché se ne parla. Altrimenti (come nel 90 per cento dei casi) lambiguità domina. La malafede sprizza talmente da tutti i pori di questo atto comunicativo (testo e immagine) orientato non già ad informarci di qualcosa a proposito dellomosessualità - infatti non dice niente - ma ad incitare ad azioni volte a legiferare nel senso di un riconoscimento pieno dellomosessualità, dei suoi diritti eccetera.
Limmagine di un povero neonato privato del proprio nome ci dice, nella sua sinistra miseria, che sebbene non si sappia se lorigine dellomosessualità sia genetica o sociale, sarebbe comunque meglio che fosse genetica, così avremmo risolto tutto da subito, senza troppe discussioni sulla società.
Questo permetterebbe di evitare il vero scoglio: posto anche che esistano predisposizioni genetiche (anche lobesità, allora, o lanoressia, o linfarto, ecc.: e allora perché non intervenire su questi aspetti riconoscendo altrettanti diritti?), il problema è il profondo disordine educativo nel quale si trova a vivere un bambino, oggi. Oggi un bambino in Italia impara parole come «stupro», «gay», «transessuale» e altre peggiori prima di sapere non dico cosa significhi amare una persona, ma prima di sapere anche che cosè un atto sessuale.
Questo la dice lunga sullirresponsabilità e sulla pochezza umana e civile di pubblici amministratori che si permettono di usare strumenti comunicativi come questo.
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