Quelle Regioni speciali che «rubano» i soldi alla Liguria

Matteo Rosso*

Caro Direttore, in questo bizzarro clima in cui la parola «equità» viene pronunciata ogni minuto ed è intesa come sinonimo di «tasse» vorremmo segnalare un’iniquità macroscopica che viene perpetrata costantemente e da decine di anni: il trattamento tributario riservato alle Regioni a statuto speciale. Com’è noto, le Regioni a statuto speciale sono 5 (Valle d’Aosta, Trentino - Alto Adige, Friuli - Venezia Giulia, Sardegna e Sicilia) e sono state istituite per ragioni storiche certamente commendevoli alcuni decenni fa, ma ormai del tutto anacronistiche.
Ebbene, in virtù della loro pretesa «specialità», queste regioni trattengono una media del 90% dei tributi riscossi sul proprio territorio: si va dal 100% (circa) della Sicilia al 60% del Friuli. Come se non bastasse, lo Stato provvede diligentemente ad attribuire e trasferire loro risorse «aggiuntive», cioè, evidentemente, sottratte dai contribuenti di altre regioni e dirottate verso questi mirabili esempi di «specialità». Non a caso, in queste regioni, la spesa pubblica in rapporto al Pil è nettamente più elevata rispetto alla media italiana: in alcuni casi (Valle d’Aosta, Trentino e Sicilia) è più che doppia rispetto alla media!
È «equo» che la solidarietà debba valere per tutti gli enti locali, tranne che per le regioni «speciali»? È «equo» che solo queste regioni abbiano il diritto di far permanere sul proprio territorio i proventi dei tributi ivi riscossi? È «equo» che queste regioni possano tenere la spesa pubblica a livelli elevatissimi facendosi ripianare quasi ogni disavanzo «a piè di lista»?
Diciamo le cose come stanno: i contribuenti delle altre 15 regioni italiane stanno sostanzialmente finanziando cinque piccole repubbliche socialiste che, peraltro, possono permettersi di offrire condizioni molto più favorevoli alle imprese che vogliano trasferirvisi: basti ricordare l’incredibile esodo registrato dal Veneto al Trentino. Tutto ciò è «equo»?
No, non lo è per niente, perché tutte le regioni dovrebbero essere poste nelle stesse condizioni, e sul punto ci permettiamo di avanzare cinque proposte:
1) le principali imposte (quantomeno Irpef e Ires) dovrebbero essere regionalizzate, ma la stessa Irap (che è «regionale» solo di nome) dovrebbe divenire un tributo completamente regionale. In conseguenza di ciò dovrebbero essere massicciamente regionalizzati i servizi attualmente finanziati dallo Stato, con correlato trasferimento di beni e personale;
2) le regioni dovrebbero essere libere nel decidere la propria politica tributaria: ogni cittadino e impresa dovrebbe quindi poter scegliere - semplificando al massimo - tra regioni con alta pressione fiscale ed elevato numero di servizi finanziati con il gettito e regioni a bassa pressione fiscale e pochi servizi pagati dai contribuenti. Il federalismo è competitivo o non è;
3) la finanza statale dovrebbe divenire, nella sua maggior parte, una finanza derivata. In altri termini: lo Stato dovrebbe finanziarsi con i (pochi) tributi che rimarrebbero di sua competenza, ma, soprattutto con quote di tributi regionali trasferite dalla Regioni allo Stato solo con un assenso unanime delle Regioni;
4) nell’ambito di questa impostazione, le Regioni dovrebbero poter trattenere sul proprio territorio almeno il 75% del gettito: il restante 25% dovrebbe essere diviso in una quota (ampiamente minoritaria) trasferita allo Stato (su base consensuale unanime, vedi punto 3) e una quota finalizzata ad alimentare un «fondo perequativo» indirizzato a fare in modo che anche le regioni meno produttive siano in grado di tutelare alcuni diritti fondamentali;
5) l’esistenza del fondo perequativo, pur necessaria, non dovrebbe diventare una scusa per continuare a trasferire risorse a fondo perduto alle regioni «più sprecone»: l’uso del fondo perequativo dovrebbe essere subordinato alla sottoscrizione di un patto interistituzionale in forza del quale le regioni che percepiscono risorse prodotte in altre zone d’Italia si debbano impegnare a ridurre e, in prospettiva, ad eliminare, i propri deficit. Le regioni «deboli» dovrebbero essere lasciate libere di scegliere se tagliare i servizi o aumentare i tributi, ma, in caso di mancato rispetto della tempistica tassativa determinata nel patto, esse perderebbero progressivamente il diritto a poter usufruire del fondo perequativo.


Siamo ben consci che un sistema come quello delineato non possa essere creato dalla sera alla mattina, ma di certo vi si potrebbe giungere con pochi anni di transizione e una ferma volontà politica: si tratterebbe di sviluppare l’Italia nell’unico senso possibile, quello confederale, e verso la più fondamentale forma di equità, quella territoriale.
*Fellow dell'Istituto Bruno Leoni
*Consigliere regionale Popolo della Libertà

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