Quelle tre operazioni che non hanno convinto Geronzi

Per avere il 51% della jv tra Generali e Petr Kellner - il 46enne ceco ex venditore di macchine fotocopiatrici diventato l’89esimo uomo più ricco del mondo - dove è stato conferito il gruppo Ppf, Generali ha messo 1,5 miliardi di asset e ne ha versati altri 1,1 in cash; per l’altro 49% ha un’opzione che può costare 2,5 miliardi. Un sacco di soldi. Detto questo, per grandi e piccoli soci, a cominciare da Mediobanca, quella è stata un’operazione positiva: dà risultati che sono apprezzati e aumenta il peso del gruppo nell’Est Europa; forse Ppf è stata pagata cara, ma non c’erano alternative per crescere e nessuno immaginava che si fosse alla vigilia della grande crisi.
Tuttavia, secondo quanto risulta al Giornale, questa operazione è una delle tre che Geronzi, confidandosi con i suoi dopo le dimissioni dalla presidenza Generali, ritiene contengano gli elementi all’origine dei rapporti tra parti correlate (o più brutalmente conflitti d’interesse) che lo hanno portato a definire la compagnia come eterodiretta e che potrebbero ancora pesare sul futuro della gestione. Tre casi in cui la società ha acquistato qualcosa da suoi presenti o futuri azionisti.
In questo caso non sono i termini dell’operazione Ppf a essere nel mirino, ma piuttosto il successivo acquisto dell’1,7% delle Generali, effettuato tra il 6 e il 9 aprile del 2010 (vigilia dell’assemblea che ha nominato Geronzi), che ha fatto superare a Kellner la soglia del 2%. A questa operazione è poi seguita, lo scorso 23 settembre, la proposta in comitato investimenti di acquistare da Kellner, in Repubblica Ceca, immobili per 300 milioni, parzialmente accolta.
Nello stesso comitato si è discusso anche della seconda operazione «correlata»: l’adesione al fondo investimenti infrastrutturali promosso da Ferak, finanziaria azionista di Trieste con l’1,7% e tramite Effeti (Ferak e Crt) con un altro 2,2%, rappresentata in cda da Angelo Miglietta. L’adesione ha ricevuto l’ok per 100 milioni.
Infine, per la terza, si deve andare indietro di 5 anni e risalire alla cessione della Toro da De Agostini a Generali trattata nell’estate 2006 a fronte di un esborso di 2,4 miliardi. A questa operazione, anch’essa giudicata da alcuni analisti come molto cara (le cronache del tempo parlano di 1,5 volte il valore intrinseco, contro una media di valutazione di 1,2-1,3) è seguito, tra il dicembre 2006 e il giugno 2007, l’investimento di De Agostini in Generali per un totale di 1,5 miliardi (per più del 4%).

Ma dal gruppo guidato da Lorenzo Pellicioli si ricorda che l’ingresso in Generali fu ponderato per impiegare le risorse di un gruppo familiare in un benchmark di redditività stabile quale quello assicurativo, peraltro ben conosciuto proprio grazie all’esperienza in Toro.

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