Quindici anni all’inseguimento del bandito e del campione

Marco Ventura

Sulla soglia del bar centrale di Novi Ligure, in una frizzante sera di gennaio del 1922, un ragazzo con le toppe ai gomiti sputò in terra una caramella al rabarbaro troppo amara. La caramella finì tra i piedi di tre giovinastri in camicia nera che lo presero come un gesto di dissidente disprezzo. E lo massacrarono di botte, come si picchia in terra, alla cieca. Nacque così il bandito Pollastri, prima delle gesta clamorose e delle tante guardie e carabinieri uccisi che lo avrebbero reso lugubremente famoso in Italia, Francia e Belgio. Tutto cominciò da «un torto subito», come recita la canzone Il bandito e il campione di Luigi Grechi, e dall'andare in bicicletta nel tentativo di scalare il podio e conquistare 2 lire di premio nelle gare di paese. Poi, mancandogli nelle gambe la benzina, cominciò a pedalare tosto per sparire nei viottoli di campagna dopo una rapina o un omicidio, calzando il berretto da ciclista per camuffarsi, sparando ai lampioni per crearsi il buio alle spalle... Sante Pollastri, il bandito in bicicletta.
Un altro ragazzo negli stessi anni, Costante Girardengo, di poco più grande, suo conoscente, figlio pure lui di contadini, povero e affamato come quasi tutti a Novi nel primo dopoguerra, batteva con la bicicletta le strade fangose e dissestate del Piemonte. Sfidava i coetanei con un solo obiettivo che bastava a dare dignità alla sua formidabile capacità di soffrire: il benessere per sé e per la sua famiglia, la libertà dalla terra e dalla miseria. Una vittoria dopo l'altra, Lorenzo Colombo, decano dei cronisti italiani, lo ribattezzò il Campionissimo, il primo Campionissimo del ciclismo italiano, perché Girardengo vinceva sei volte su dieci qualsiasi avversario in qualsiasi condizione ed ebbe un solo rivale, Tano Belloni, che passò agli annali come «l'eterno secondo». Girardengo divenne la prima icona dell'Italia non solo sportiva, un idolo consacrato da Indro Montanelli, Mario Soldati e Orio Vergani.
Ma cosa fece di Sante un bandito e di Costante un campione? Che cosa tenne legati i destini dei due ragazzi finché morirono vecchi, nel 1978 Costante e nel 1979 Sante, dopo che le loro strade si erano ripetutamente incrociate negli anni sulle piste dissestate di Novi, sullo scintillante parquet del Velodromo d'Inverno a Parigi, nelle aule dei processi a Milano e Alessandria, e infine ancora a Novi, al Caffè Teatro, in piazza, nelle strade, tra la gente? Il bandito e il campione. Il campione e il bandito. Ancora amici.
Quando, nel 1993, Francesco De Gregori decise di cantare Il bandito e il campione, dietro le belle parole e la musica incalzante di quella ballata c'era tutta la forza di una storia vera. Dovetti andare a Novi, e poi a Genova, Milano, Parigi, Ventotene, Roma, per rintracciare i documenti, i testimoni, e mettere assieme tutti i tasselli di una vicenda che a Novi era leggenda, e che a mano a mano che la scavavo mi faceva scoprire nuovi sorprendenti dettagli e addentellati, innumerevoli storie nella storia in una cornice che era quella dell'ascesa del fascismo. Anni confusi, pieni di sogni e anarchia. Anni nei quali se si dovesse indicare un minimo comun denominatore di ogni impresa politica, sportiva, umana, direi che furono anni pieni di desiderio. Lo stesso «desiderio» che Biagio Cavanna, il massaggiatore cieco di Girardengo e poi di Coppi, inoculava nei suoi puledri pronti a diventare campioni. Cavanna era l'amico di Sante e Costante, attraverso lui il bandito e il campione rimasero in contatto e s'incontrarono a Parigi in pista e il giorno dopo al ristorante, era il 1925, per raccontarsi di Novi, del ciclismo, della bellezza di sentirsi compaesani e famosi, nel bene e nel male, uomini fatti e riusciti. Pollastri anche per raccomandare a Gira di scagionare al rientro in Italia due novesi condannati al carcere a vita per un omicidio che aveva commesso lui, Sante, il «bandito gentiluomo» che si esponeva all'arresto pur di non abbandonare i compari del Borgo, cuore della Novi ribelle.
Fu Girardengo a tradire Pollastri? Forse no. Pollastri ammise d'aver commesso un errore a farsi vedere al Vel d'Hiv, ma rimase convinto che a tradirlo fosse stata la donna, troppo bella, alla quale si accompagnava, e il poliziotto che Mussolini in persona gli aveva mandato fino in Francia per mettergli le manette, Giovanni Rizzo. Attorno al bandito si era costituita una banda di 150 elementi sparsi in tutta Europa. Fu Pollastri a introdurre la «perforatrice» delle casseforti in Costa Azzurra, lui a rinverdire il ricordo della Banda Bonnot, che commetteva le rapine in automobile invece che in bicicletta; lui a richiamare un'altra celebre figura anarchica, Alexandre Marius Jacob, alias Arsenio Lupin, che usava le rane come pali.
A Parigi, Pollastri fu processato, poi estradato in Italia e internato a Santo Stefano, dove nel '43 capeggiò la rivolta per fame, ma garantì alle guardie e al direttore l'incolumità. Anche per questo, nel 1959, fu graziato dal presidente Gronchi e tornò a Novi Ligure, sulla bicicletta, a vendere sigari di contrabbando e magliette. Ben visto da tutti. Girardengo, nel frattempo, era caduto a Firenze nel 1926, aveva vinto l'ultima Milano-Sanremo nel '28 e si era dato alla costruzione di biciclette, alla guida di una sua squadra e alla pubblicità. Le tumultuose gesta di entrambi, corse e rapine, erano ormai un ricordo.

I destini incrociati del bandito e del campione si ricomponevano a Novi. Gira in gara era stato un po' bandito, non si faceva scrupolo di battere gli amici-avversari con l'astuzia, oltre che con i polmoni. Sante era stato un campione, a modo suo.

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