Raccontateci i vostri banchi per capire il futuro

(...) di leggere i suoi libri o i suoi articoli, è difficile conoscerlo. La residenza universitaria delle Peschiere, in Albaro, che fa capo all’Opus Dei, ha avuto l’intuizione e la passione di invitarlo all’apertura del suo anno accademico, ma sono stati gli unici.
Forse perchè D’Avenia è cattolico, forse perchè ha il coraggio di dire cose anche politicamente scorrette, forse perchè parla e scrive con il cuore in un mondo dove il cinismo comanda, dove il bilancino degli interessi è decisivo, dove c’è gente che passa per «intellettuale genovese» o «uomo di cultura ligure», quando l’unica opera di intelletto è quella di contare i soldi relativi ai suoi interessi.
Insomma, sta di fatto che - a differenza delle Peschiere - nessun altro l’ha invitato a parlare di scuola e formazione. Non solo il Comune e le istituzioni in generale (e, fin qui ci sta, li conosciamo), ma nemmeno le due fondazioni che fanno la differenza in città, offrendo la parola a tutte le culture: quella di Palazzo Ducale di Luca Borzani e la FEG di Duccio Garrone ottimamente guidata a livello operativo da Paolo Corradi. E se la fondazione Garrone è scusabile perchè, fino ad oggi, i suoi incontri non hanno toccato espressamente il tema della scuola superiore (ma, intelligentemente, quello del rapporto fra studenti e mondo del lavoro, con iniziative come Genova Scoprendo e le visite nelle fabbriche e al Porto), Borzani stavolta ha responsabilità doppie. Perchè Luca - che pure mette in scena l’unico vero centro di cultura della nostra città e merita applausi - ha già organizzato vari cicli sul tema Scrivere di scuola, ma per D’Avenia spazio non c’è mai stato. Ed è un’assenza che pesa, soprattutto per quello che D’Avenia dice.
Poi, potrei contare, ovviamente, sui Teatri Possibili del nostro amico Sergio Maifredi, uno che se non ci fosse, bisognerebbe inventarlo. Uno che sono orgoglioso che scriva su queste pagine. E ce ne sono altri due che ho la speranza diano spazio a queste idee: Carlo Repetti del teatro Stabile e Pina Rando e Giorgio Gallione dell’Archivolto. Non sempre sono d’accordo con loro, non sempre mi piace quello che mettono in scena. Ma sono vivi e, talvolta, non sempre, capaci di osare, di andare oltre. E state attenti a questa parola, vivi, perchè ci torneremo.
Insomma, spero di vedere presto il prof-scrittore a Genova. E, a scanso di equivoci, vi dico anche che io D’Avenia non l’ho mai visto, nè conosciuto. Ci tengo moltissimo, ma per una pura questione di principio. Ci tengo moltissimo perchè lo leggo. Ci tengo moltissimo perchè mi piacerebbe raccontare anche a Genova, anche pubblicamente, che «dalla famiglia e dalla scuola si può ripartire: non si richiedono riforme strutturali, ma riforme del cuore e dalla testa».
Ecco, da quelle parole di D’Avenia sulla Stampa è partito un bellissimo dibattito con interventi di moltissimi insegnanti. Uno, in particolare, mi ha colpito ed è quello di un altro prof, S.B., che non insegna al liceo come Alessandro, ma elettrotecnica in una scuola professionale. Ve ne riporto un passo e poi vi spiego perchè: «Diciamola tutta: sono un docente di “serie B“ che insegna in una scuola di “serie B“ e le assicuro che questo non è vittimismo, ma una semplice constatazione. Nelle nostre scuole non si iscrivono più i ragazzi che una volta ultimato il percorso dell’obbligo vogliono imparare un mestiere, ma coloro che per una ragione o per l’altra non riescono a fare nient’altro e sono obbligati a raggiungere i dieci anni di scolarità. Un tempo era diverso, lo so».
Poi, il prof «di serie B» - peraltro padre di due ragazzi adolescenti di 15 e 17 anni con mille interessi, polemici con il papà, come è naturale sia a quell’età, ma reattivi e soprattutto vivi - spiega che coloro che si iscrivono alla sua scuola per passione sono non più del trenta per cento. E qui arriva il bello, anzi il brutto: «Gli altri vengono da noi, le ripeto, “perchè è più facile“, “non c’è tanto da studiare“, “sa, mio figlio non ha voglia per cui...“. E noi ci troviamo in classe accozzaglie di ragazzi vuoti, demotivati, disinteressati, annoiati, nervosi, violenti, problematici in tutti i sensi e non abbiamo sufficienti risorse e aiuti per gestirli. Quest’anno io ho una media di 28 ore settimanali in 13 classi diverse. Ci sono classi dove ho paura ad entrare, nonostante il mio metro e 84 e i miei 45 anni. Abbiamo gruppi di 25-30 ragazzi stipati in spazi ridottissimi, fra i quali ci sono ragazzi che non sanno fare una moltiplicazione, non distinguono un angolo da sessanta grandi da uno di novanta gradi, non hanno mai nè materiali scolastici, nè la minima intenzione di utilizzare il cervello per imparare qualcosa di diverso dall’arrotolarsi una cicca: semmai si cimentano nel trovare un nuovo insulto da dedicare alla mamma o alla sorella del compagno. O al loro sport preferito: dormire».
Il racconto è drammatico, ma purtroppo terribilmente realistico. Anzi, non è un racconto. È una fotografia, un fermo immagine, visto da dentro, da uno che lo vive tutti i giorni e tutti i giorni si sente un po’ morire dentro, in mezzo a morti dentro.
«Sono vecchi, morti dentro, sembra che abbiano vissuto tutto e nulla possa più sorprenderli. Lo scoraggiamento arriva dopo che hai adoperato tutti i metodi possibili per incuriosirli, per far lezioni non noiose e hai usato computer, fantasia, “cooperative learning“...insomma tutto quel che i tuoi limiti ti consentono e ottieni in cambio soltanto maleducazione e menefreghismo. Ti arrendi e ti stupisci di come descrivono i giovani gli altri. Quelli che vedi tutti i giorni sono un’altra cosa».
La testimonianza è durissima, ma proprio da queste parole (e dalla risposta col cuore di D’Avenia) voglio partire. Perchè penso che gli insegnanti siano stati e siano la nostra ricchezza più grande - dalle scuole dell’infanzia all’università - e abbiamo centinaia di lettori che sono insegnanti (oltre che padri e alunni delle scuole).
Proprio a loro - docenti, genitori, studenti e operatori delle scuola - ci rivolgiamo. A questi missionari della quotidianità che, se fanno bene il loro lavoro, sono i veri eroi silenziosi del nostro tempo.
Raccontateci, nel bene e nel male, la scuola per come la conoscete e per come la vivete.

Daremo vita a un dibattito - anche per cercare di capire come si può rispondere al fenomeno denunciato dal «prof di serie B» - e, nelle prossime settimane, questa sarà casa vostra. Il futuro passa di qui.
(1-continua)

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