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Da Recoba alla Kournikova, la galleria dei sopravvalutati

Il Chino: 2 gol all’esordio, poi tanta panchina. E nella Nba Portland scartò Jordan per la meteora Bowie

Jacopo Casoni

La storia dello sport è costellata di «meteore». Di presunti campioni o campionesse che, incensati dalla critica, dai tifosi e anche dai professionisti deputati a trovare i fenomeni del futuro, non hanno poi tenuto fede alle promesse. Ogni disciplina ha fornito svariati esempi di «stelle» cadute ancor prima di cominciare a brillare.
Il calcio è un mondo in cui i casi di giocatori «pompati» sono stati, sono e saranno all’ordine del giorno. Il più clamoroso della storia recente è Alvaro Recoba. Il «fuoriclasse» uruguaiano è arrivato all’Inter, fortemente voluto da Massimo Moratti, nell’estate del 1997. L’esordio è stato di quelli col botto. Inter-Brescia, prima partita di campionato. Recoba era in panchina e i nerazzurri stavano perdendo 0-1 a San Siro. Il «Chino» entrò e risolse con una doppietta spettacolare negli ultimi venti minuti. Ma non era l’inizio di una carriera favolosa, bensì uno dei pochi acuti di Recoba in maglia interista. L’unica stagione giocata ad alti livelli dal fantasista di Montevideo è stata quella vissuta lontano da Milano, in prestito al Venezia. Forse Recoba non ha sufficiente personalità per reggere la pressione a cui ti sottopone una piazza difficile come quella meneghina. Forse, invece, le attese altrui erano semplicemente troppo elevate. Oggi l’eterna promessa, il cocco di Moratti, l’uomo che avrebbe dovuto aiutare l’Inter a tornare a vincere, ha 29 anni e una carriera priva di soddisfazioni alle spalle.
Nel tennis il caso paradigmatico è Anna Kournikova. La ventiquattrenne Lolita della racchetta ha esordito giovanissima ed era considerata la futura dominatrice del ranking Wta. La bella russa ha sfondato sì, ma come modella. Servizi fotografici mozzafiato, storie sentimentali che la proiettano sulle copertine dei maggiori tabloid internazionali, siti Internet tra i più cliccati della rete. Ma alla voce «tornei vinti in carriera» c’è uno zero che dice tutto. Doveva essere la regina del tennis femminile almeno per un decennio, ma le cose sono andate diversamente.
Un’altra ragazza che avrebbe dovuto essere il punto di riferimento del suo sport, a livello nazionale ma non solo, è Maurizia Cacciatori. La palleggiatrice più bella del mondo, oltre che per i suoi successi nel nostro campionato, si è guadagnata la ribalta grazie alla sua avvenenza e alla relazione con Gianmarco Pozzecco, ma quando la pallavolo femminile italiana si prese la prima pagina di tutti i giornali, lei non c’era. Il ct Marco Bonitta scelse di non convocare la Cacciatori per i Mondiali di Berlino del 2002. In quell’occasione promosse Eleonora Lo Bianco in regia, e l’intesa tra la piccola alzatrice e l’opposto Elisa Togut regalò l’oro al nostro volley in rosa. Uno smacco difficile da digerire. Esclusa dalle azzurre e vittoria storica della Nazionale: emblematico.
Nel trattare la vicenda di Andrea Longo, nostra «punta di diamante» negli ottocento metri, è opportuno partire dalla fine. A Helsinki, dove si stanno svolgendo i mondiali di atletica, Longo non c’è. Non ha ottenuto quel 1’46”60 che rappresentava il tempo limite per la partecipazione alla rassegna iridata. Questa non è che l’ultima delusione per il trentenne di Piove di Sacco. Mai una medaglia in una grande competizione e un ultimo lustro sempre in calando.
Anche i super pagati talent scout del basket americano hanno preso topiche clamorose. Una su tutte. Nel draft Nba del 1984 la prima scelta toccò agli Houston Rockets che, avendo bisogno di un lungo su cui rifondare la squadra, optarono per Akeem «The Dream» Olajuwon, destinato ad avere un ruolo fondamentale nelle vittorie della franchigia texana e un futuro assicurato nella Hall of Fame. La seconda ad avere il diritto di scelta fu Portland. I Blazers chiamarono tale Sam Bowie. La carriera del nostro non fu certo di quelle da incorniciare, tanto che anche gli appassionati faticano a ricordare il suo volto. Poi fu il turno di Chicago, e i Bulls fecero il nome di Michael «Air» Jordan da North Carolina, semplicemente il più grande giocatore di basket della storia.

Che altro dire? No words.

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