Referendum, manovra e Ue: i nuovi fronti caldi di Renzi

Passato il primo turno delle Comunali, il premier pensa già al voto sulla riforma Boschi. La corte ai sindacati per provare a far crescere il Sì. Ma Stabilità e vincoli europei incombono

Referendum, manovra e Ue: i nuovi fronti caldi di Renzi

Quattro mesi in apnea. Sono quelli che si appresta a vivere Matteo Renzi in attesa dell'esito del referendum sulla riforma costituzionale che porta il nome del ministro Maria Elena Boschi. Economia, finanza, politica, relazioni internazionali: non c'è tema sul quale il premier non sarà impegnato, anche con l'intento di conquistare consenso alla causa.

Proviamo a partire dalla fine, da una possibilità che, al momento, non è remota visti i sondaggi: bocciatura del nuovo impianto istituzionale e Senato ancora in vita da eleggere con una legge interamente proporzionale. Un'antinomia assoluta con il supermaggioritario Italicum vigente per la Camera, ma del quale la minoranza Pd chiede una modifica in extremis che Renzi per ora nega a Bersani & compagnia. Questi ultimi vorrebbero il doppio turno di collegio anziché il ballottaggio nazionale tra i due partiti/liste più votati. Considerato il probabile boicottaggio dei nostalgici di D'Alema, a Renzi converrebbe scendere subito a patti, aprendo alla minoranza interna per non trovarsela tutta schierata dalla parte del «no».

Stesso discorso per il sindacato. Fiom e Cgil si oppongono alla riforma, la Cisl è favorevole e la Uil sembrerebbe orientata alla libertà di scelta. Per riconquistare gli «scontenti» Renzi ha inaugurato a maggio la «concertazione 2.0» facendo rientrare la Triplice a Palazzo Chigi. Un nuovo incontro è previsto a breve. I temi di confronto sono molteplici: flessibilità del pensionamento con massimi tre anni di anticipo per tutti, stretta sui voucher e legge sulla rappresentanza. Il costo contenuto della prima misura (massimo un miliardo) e la soluzione del prestito pensionistico da parte di banche e assicurazioni con penalizzazioni a seconda del reddito non piace molto ai sindacati. Le misure anti-uso dei voucher (spesso adoperati anche per rapporti di lavoro subordinati) sono state rinviate e così il nuovo modello di relazioni industriali sulla falsariga Fiat. Il premier potrebbe concedere qualcosa, magari allargando un po' i cordoni, in cambio di un convinto «sì».

Se Renzi, però, vuole aumentare le proprie chance di vittoria, dovrà sicuramente continuare l'opera di allargamento del proprio consenso senza incidenti di percorso come il bonus da 80 euro da restituire. La legge di Stabilità, però, parte in salita: 15 miliardi di clausole di salvaguardia su Iva e accise da disinnescare, 3,5 miliardi di taglio Ires per le aziende appena confermati dal ministro Padoan e, dunque, poco margine di manovra sia per tagliare l'Irpef al ceto medio (costo 3 miliardi) e per estendere il bonus da 80 euro ai pensionati. Ecco perché si sta pensando di disboscare alcune agevolazioni fiscali non escludendo dal novero le detrazioni delle spese sanitarie per i redditi molto alti. A differenza del resto della spending review, questa azione comporta un antipatico incremento della pressione fiscale.

Sempre in tema di bombe da disinnescare, ce ne sono due che stanno ticchettando da un po' di tempo. La prima è l'emergenza migranti. Il governo ha presentato la propria proposta a Bruxelles che ne sta elaborando le modifiche. Il Migration Compact, che si propone di avanzare in Africa il controllo dei flussi tramite accordi bilaterali con l'Ue, non è visto bene da tutti i partner europei anche per i costi (96 miliardi in 7 anni). Stesso discorso per le banche alle prese con circa 200 miliardi di sofferenze.

Il Fondo Atlante potrebbe quasi esaurire le munizioni con l'aumento di capitale di Veneto Banca. Servirebbero nuove munizioni per mettere il sistema definitivamente al sicuro ed evitare il panico, ma il governo può fare solo il regista avendo il fiato di Bruxelles sulle spalle.

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