Economia

Retroscena Quella fusione (finta) tra Geronzi e Profumo, che giova solo a Bazoli

Bisogna sempre chiedersi cui prodest, a chi giova. È una sana regola per decifrare indiscrezioni, mosse, segnali di dubbia interpretazione. La fusione tra Mediobanca e Unicredit non fa eccezione. Lanciata a tutta pagina dal Sole 24 Ore diretto da Ferruccio De Bortoli per infiammare la gelida (e bianca) Epifania milanese, l’operazione ha ricevuto contestualmente le smentite dei soggetti interessati. Ma intanto il ballon d’essai è uscito, con tanto di forte reazione al rialzo, in Borsa, per i titoli coinvolti. Cui prodest?
Non certo ad Alessandro Profumo, capo di Unicredit, banchiere che si sente una volta di più sulla graticola. La lettura del Sole il 6 gennaio - dice chi lo conosce - è stata come il carbone (quello vero) della Befana. Dopo un 2008 disastroso per il gruppo milanese, con il titolo scivolato fino a 1,5 euro dopo essere stato sopra i 7 al momento dell’acquisizione di Capitalia, Profumo ha ricevuto critiche di ogni tipo. Soprattutto, per l’appunto, dal mercato. Fino a essere costretto a rimangiarsi la parola quando, nell’ottobre scorso, ha dovuto varare l’aumento di capitale da 3 miliardi necessario per rafforzare i ratios patrimoniali (e che è partito proprio il 5 gennaio). Operazione che fino a quel momento era stata negata a ripetizione. Da allora Profumo si è trovato a sostituire l’immagine del banchiere schiacciasassi d’Europa, con quella del manager perennemente sotto tutela. E questa delle nozze con Mediobanca suona come l’ultima delle trovate per «salvare» Unicredit da Profumo.
Ma l’abbraccio non giova nemmeno a Mediobanca e al suo presidente Cesare Geronzi che, dopo aver fortemente voluto il cambio di governance di Piazzetta Cuccia, ottenendone infine la presidenza, in questo nuovo progetto rischia di apparire affetto da bulimia di potere. Banchiere ben stimato da questo esecutivo, in ottimi rapporti sia con il premier, sia con i suoi due esponenti di maggior peso, Gianni Letta e Giulio Tremonti, dopo aver venduto Capitalia a Unicredit, partirebbe ora all’attacco di quest’ultima. Francamente troppo per non suscitare qualche reazione contraria nel sistema. Come a dare ragione a chi, fin dal momento della fusione Capitalia-Unicredit, ci ha tenuto a evidenziare il rischio di una pericolosa accumulazione di potere nel rafforzamento della catena Unicredit-Mediobanca-Generali. È stato Gianni Bazoli, presidente di Intesa Sanpaolo, principale concorrente di Unicredit e partecipata nel capitale dalle Generali, a porre la questione.
Per questo, forse, è allo stesso Bazoli - in qualche difficoltà per i problemi di alcuni suoi grandi soci quali il finanziere Zaleski o il Crédit Agricole - che in definitiva quell’indiscrezione può giovare. E il fatto che sia stato proprio il Sole di De Bortoli, considerato come uno dei direttori di giornale più in sintonia con il Professore bresciano, a sparare l’operazione Mediobanca-Unicredit, fa tornare i conti.

E il pranzo di ieri tra Profumo e Geronzi, incontro definito da fonti vicine alle due banche coinvolte «cordiale», ma soprattutto «occasione per ribadire che non c’è alcun progetto di fusione tra Unicredit e Mediobanca, non avendo per entrambi alcun fondamento industriale», rappresenta la chiusura del cerchio.

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