Riscatto di una regina: non muore per Enea ma sposa un vero re

Decollo come brillante violinista al seguito dei complessi della Rai. Poi, cambio di rotta con la decisione di dedicarsi in modo esclusivo alla musica del Sei e Settecento: indagata con cura certosina e riproposta fedelmente all'originale. È Fabio Biondi, l’anima di Europa Galante: il complesso strumentale italiano che nel suo genere, cioè la musica antica, rappresenta l’Italia nel mondo. Per tre giorni, il teatro alla Scala, uso a un repertorio che dal contemporaneo arretra fino al Settecento, possibilmente inoltrato, si tinge in via del tutto eccezionale d’antico. Domani e lunedì mette in scena una preziosa gemma del melodramma di casa nostra, come «La Didone» di Francesco Cavalli e domenica, sempre alle ore 20, ospita un concerto che fin dal titolo chiarisce la sua sostanza barocca: «Invenzioni e stravaganze». Artefice di questa duplice esposizione di partiture d’epoca è l’ensemble Europa Galante che, aldilà del concerto domenicale, porta a Milano uno spettacolo nato dalla collaborazione con la Facoltà di Design e Arti dell’Università di Venezia e prodotto dal teatro La Fenice di Venezia e Unione Musicale di Torino. Con Didone, classe 1641, Fabio Biondi riporta a Milano l’opera barocca, un’opera imbevuta di miti e di favole grazie alle quali l’artista del Seicento sfugge la realtà tremenda dell’epoca. Si tenta di evadere un quotidiano fatto di pestilenze, carestie, guerre, scosso dalle rivelazioni copernicane e dimostrazioni galileiane. Si reinventa un mondo meraviglioso o comunque lontano e idealizzato, fatto di dei e semidei, di figure leggendarie liberamente interpretate. È il caso di Didone, l’infelice regina che il librettista dell’opera (Busenello) non fa morire suicida per amore di Enea: alla fine la donna convolerà a nozze con l’ammiratore di sempre, il re Iarba. Certo, il lieto fine giunge in coda a una sequela di eventi luttuosi, a lamenti e pianti pensati - anzitutto musicalmente - per muovere gli affetti dello spettatore, nel più puro spirito barocco. Un’opera dove l’umore tragico, alla fine riscattato, fa i conti con il tono licenzioso e spregiudicato, tale soprattutto in tempi di Controriforma, molto più vicino alla sensibilità libertina di poi. Si irride la fedeltà, in amore è molto meglio «variar disegno, e volo, / perché fa troppo nausea un cibo solo», dicono le damigelle alla vedova Didone. In Didone, si canta e si dice nel rispetto del recitar cantando secentesco: uno stile che punta su qualità emozionali fortissime, con il fermo obiettivo di commuovere l’ascoltatore.

Un obiettivo ben chiaro a Cavalieri, compositore e sovrintendente degli spettacoli fiorentini, che fece debuttare la sua Didone al teatro San Cassian di Venezia, il primo al mondo destinato a un pubblico pagante, quindi da conquistare. Un’impresa che fino ad ora è riuscita alla Didone di Biondi, che per i ruoli da protagonisti ha coinvolto i cantanti Claron McFadden (Didone), Magnus Staveland (Enea) e Jordi Domènech (Iarba).

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