Rispetto Sterpa, ma disertare il referendum significa seppellire una speranza

Mi permetto di esprimere il mio disaccordo sulla intenzione di disertare il referendum confermativo sulla devoluzione espressa da Egidio Sterpa (pagina dei «commenti» del Giornale del 12 giugno). Sterpa motiva la sua decisione con il non gradimento riguardo ad alcune parti della riforma, che richiede vadano modificate, ma alcune le apprezza, come la concessione di maggiori poteri al premier, l’introduzione del concetto di «interesse nazionale», la riduzione del numero dei parlamentari. Ammette, però, l’articolista di aver gradito ancora meno la precedente riforma «sgangherata» del titolo V della Costituzione attuata, con i famigerati quattro voti in più a un mese dalla fine della legislatura 1996/2001 dall’allora (e attuale) maggioranza di centrosinistra.
Ma allora perché far saltare la nuova riforma, che sarebbe il «male minore», per far restare in vita la precedente, che è il «male peggiore»? Inoltre, come diceva molto bene Alessandro Corneli sul Giornale del 7 giugno, se vincerà il sì Unione e Cdl saranno indotte a ridiscutere la riforma in Parlamento, la prima per evitare che diventi operativa nel 2011 e 2016, la seconda per evitare che venga del tutto cancellata per via legislativa, e insieme potranno quindi migliorarla là dove va migliorata evitando di lasciarla morire.

Se invece vinceranno i no, la sinistra resterà padrona del gioco, e sono pronto a scommettere con Sterpa o chiunque altro che di riforme costituzionali non se ne parlerà più almeno fino a quando questa maggioranza riuscirà a restare abbarbicata al governo. Ecco perché mi permetto di essere in disaccordo con Sterpa e voterò sì al referendum del 25/26 giugno, per non seppellire una speranza.

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