Ritmo e soul per il nuovo re dell’hip hop

Antonio Lodetti

È la stella del nuovo hip hop, quello ben radicato nello r’n’b, che si rifà una verginità senza edulcorarsi troppo. Kanye West (una valanga di Grammy e due album miliardari, College Dropout e Late Registration) si presenta all’Alcatraz di Milano per l’unico show italiano con la disinvoltura della star consumata. Il suono è ipnotico come hip hop comanda, c’è il dj regolamentare ma West - superbo produttore di artisti come Jay Z e Alicia Keys - lo arricchisce con le incursioni di quattro violiniste e due violoncelliste. Tra radici soul, manierismi hip hop e un bel po’ di fantasia (in Diamonds stravolge il brano di Shirley Bassey che fu colonna di 007 - Una cascata di diamanti) sciorina il suo popolare repertorio senza violenza ma padroneggiando l’arte della provocazione (da Through the Wire, cronaca dell’incidente d’auto che gli distrusse la mascella convincendolo ad iniziare a cantare alla denuncia di Jesus Walks e Gold Digger).


Non ha una voce particolarmente esaltante, neppure la sensualità di Eminem o la prestanza di 50 Cent, ma il suo senso dell’arrangiamento e la sua contagiosa vitalità conquistano (anche) il pubblico di Milano, fatto di rapper e di eleganti bellezze multirazziali.

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