Era luglio quando il mio oculista, richiedeva un esame più approfondito della mia retina, per disturbi che lamentavo. A novembre, dopo quattro mesi di lista d'attesa, arriva il fatidico giorno dell'esame.
Ore 8.30, reparto di oculistica dell'ospedale di Sestri Ponente: sono in anticipo di un quarto d'ora rispetto all'appuntamento.
Ore 9: primo contatto con l'infermiera per assicurarmi che si siano accorti che ci sono.
Ore 9.30: l'infermiera mi mette per la prima volta le gocce per dilatare le pupille. E siamo già in ritardo di quasi un'ora.
Ore 10.30: inizia a passare l'effetto «acquario», in cui tutto il mondo sembra sfuocato e liquido, comincio anche ad accusare un po di mal di testa. Con me una ventina di persone tutte con le pupille artificialmente dilatate che combattono contro la luce.
Ore 10.45: l'infermiera si accorge che l'effetto farmacologico sta svanendo e aggiunge altro collirio, sono passate più di due ore. Ora mi viene chiesto di firmare un foglio, «quello della privacy». Ma non ci vedo più a causa della dilatazione artificiale delle pupille. E poi la privacy? Le persone non vengono chiamate con un numero, ma viene urlato nome, cognome ed esame da fare. Ad alcune viene chiesto ad alta voce data di nascita, residenza, età e altre informazioni private.
Ore 11: è il mio turno. Vengo visitata da un medico che mi dice che per lui è tutto a posto però preferisce che sia controllata anche dal suo collega e mi chiede quindi di attendere altri 5 minuti che si trasformano in 20.
Ore 12: «La sua retina è perfetta, può andare».
Sono felice dell'esito dell'esame, ma ho perso una mattinata senza capire cosa non vada nell'organizzazione delle visite ambulatoriali dell'ospedale di Sestri. Certo qualcosa non funziona se si accumulano ritardi di più di due ore per effettuare esami su appuntamento.
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