È un libro scritto da un amico con il quale ho condiviso gli anni ruggenti del primo Foglio e un professore di economia colto e ribelle. Draghi o il caos di Lodovico Festa e Giulio Sapelli (sottotitolo La grande disgregazione: l'Italia ha una via di uscita?) è stimolante per le analisi economico-sociali sulla «modernizzazione bastarda», sullo sviluppo senza crescita civile, sulla secolare deflazione made in China & Germany. In tali riflessioni si coglie il pensiero di un tempestoso studioso come Sapelli: dalle sue idee, da liberale, mi capita di dissentire, ma da appassionato della più aperta discussione pubblica mi affascina sempre la sua straordinaria cultura e informazione.
Però il nocciolo delle tesi dei due autori è tutto politico e per questo val la pena tenerlo in questo nostro piccolo spazio di pubblicità editoriale (si può definire così?).
La prima tesi è che l'Italia sia stata investita da una disgregazione istituzionale, poi trasmessa a tutta la società. Un missile a due stadi: il primo partito con il 1992 con Mani Pulite e la fine della Prima repubblica e il secondo, meno approfondito, che si può far risalire al commissariamento della politica, a partire dal 2011. Non ci si deve fare ingannare né da una certa coesione sociale dimostrata in questi anni né dalla tenuta di ampi settori produttivi: la sospensione della politica ha generato mostri, come nel 2018 il voto al 32 per cento del movimento 5 stelle, e altri ne produrrà se la «sospensione» non sarà «sospesa».
La seconda tesi è che l'integrazione europea sia il destino della nostra nazione, ma al tempo stesso la fine dei fattori che hanno accompagnato la storia «comunitaria» (il pericolo sovietico, la divisione della Germania, una salda egemonia americana sull'Occidente) mostra come la speranza che il processo di integrazione proceda automaticamente, sia figlia di un pensiero più magico che critico: anche da qui la necessità che la politica torni in Italia per aiutare l'Unione a trovare una strada «costituzionale».
Dalle prime due tesi, nasce la terza. Che poi mi sembra la più interessante e attuale: Mario Draghi offre una chance per competenza, per legami con il mondo americano, per autorevolezza con Parigi e Berlino. Però queste «qualità» vanno utilizzate per «garantire» dal Quirinale il ritorno della politica piuttosto che per commissariarla sciaguratamente ancora senza fine.
Quello che attrae in Draghi o il caos è la discussione argomentata invece delle abituali considerazioni retorico-propagandistiche. Draghi al Quirinale non rappresenta per i due autori solo un passaggio naturale, ma il paradossale modo affinché la politica, nominando un tecnico bene introdotto, riprenda il suo spazio.
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