Il sì alle missioni fa ammalare il ministro Bianchi

Laura Cesaretti

da Roma

Il virus Afghanistan ha iniziato a minare il governo. Ieri ha colpito in pieno il ministro dei Trasporti Alessandro Bianchi, quota Pdci: una classica malattia diplomatica, che lo ha tenuto alla larga dal Consiglio dei ministri e dal varo del decreto sulle missioni militari. Malattia concordata con Romano Prodi, avvertito dell’assenza già la sera precedente.
Solo che Prodi ha fatto il passo più lungo della gamba e ha assicurato che se l’illustre indisposto fosse stato presente «avrebbe votato sì». Costringendo Bianchi a smentirlo: «Non so come avrei votato, non avendo letto il testo», e in ogni caso è d’accordo con Diliberto che «ci vuole una exit strategy dall’Afghanistan». Quel che il Pdci si accinge a ribadire oggi in direzione, perché «il cosiddetto accordo di maggioranza è solo una scatola vuota», spiega il responsabile esteri Venier. Ergo: «Se i termini della missione non cambieranno è chiaro che il Pdci non può che restare radicalmente contrario». E che tornerà a insistere perché il governo metta la fiducia sul ddl, in modo da poter giustificare il proprio sì.
Solo che Prodi vuole evitare come la peste un voto di fiducia sull’Afghanistan: il provvedimento arriverà al fatidico esame del Senato a fine luglio, e il rischio che il governo non abbia i numeri e venga abbattuto dopo appena tre mesi di (stentata) vita è talmente alto che nessuno se la sente di sfidare la sorte. Anche perché nelle file di Rifondazione e dei verdi ammettono che la speranza di recuperare tutti gli otto senatori dissidenti, che hanno annunciato il loro no, sono flebili. Nel Prc calcolano di farne rientrare un paio ma si dicono pessimisti su Fosco Giannini (che sta trattando un passaggio al Pdci, e se ne infischia della disciplina di partito) e su Gigi Malabarba. Che in teoria dovrebbe dimettersi da senatore a luglio per far entrare Heidi Giuliani (madre del Carlo ucciso al G8 di Genova), che ha già assicurato di avere abbastanza «senso di responsabilità» da non far cadere Prodi. Ma i tempi per la sostituzione non ci sarebbero. Quanto ai verdi, il senatore Bulgarelli ribadisce che voterà contro. Insomma, Prodi si dice soddisfatto per la discussione «franca e serena» in consiglio, e tutti sottolineano che sono bastati «22 minuti» per varare il decreto che stanzia i fondi e l’identico ddl che andrà al voto delle Camere. Ma il pasticcio missioni è tutt’altro che risolto, e la trattativa ricomincerà immediatamente. C’è da definire il «monitoraggio permanente» delle missioni, chiesto dal Prc e assicurato da Parisi, ma che ancora «nessuno sa cosa voglia dire», confidano i bertinottiani. C’è da scrivere la mozione politica che accompagnerà il ddl, dove la sinistra chiederà di inserire ogni tipo di condizioni. Un tormentone infinito e dagli sbocchi tuttora incerti: «Una parte della Cdl voterà sì, e ne siamo ben lieti - confida il viceministro degli Esteri Intini - ma il problema vero è che la maggioranza dovrebbe essere autosufficiente sulla politica estera». E ci riuscirà? «E chi può dirlo?», sospira il vice di D’Alema. Il quale D’Alema, insieme al collega della Difesa Parisi, si trova in una situazione imbarazzante. Per tenere assieme l’Unione, i due si sono dovuti rimangiare le promesse fatte alla Nato e a Condoleezza Rice: ci ritiriamo dall’Irak, ma siamo lealmente disponibili ad aumentare l’impegno in Afghanistan. Parisi si è sgolato fino a notte, giovedì, per convincere gli alleati di governo che occorreva mettere nel dl l’invio a Kabul di caccia Amx. «Vi assicuro che avranno solo compiti difensivi, ma abbiamo dato garanzie alla Nato che ci saranno». Niente da fare: «Su questo punto fondamentale abbiamo tenuto duro e vinto», esultano Prc e verdi.

E a Parisi è toccato annunciare pubblicamente: «Non ci sarà alcun aumento di militari nè di oneri». E non ci sarà neppure l’«automatismo» annuale di finanziamento delle missioni che i due volevano inserire per evitare di ritrovarsi da capo nel marasma tra pochi mesi: accantonato per «ragioni tecniche».

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