Tutti a chiedermi: ma dove li trova? E io, da più di dieci anni, a dare sempre la stessa risposta: ma guardate che è piena, l’Italia, di «tipi italiani». Gente che al mattino si alza presto, lavora, produce, assume, studia, inventa, assiste, cura, pulisce, aggiusta, spera, crede, ama. Solo che questi uomini e queste donne non hanno diritto di cittadinanza sui giornali.
L’Italia che vi viene venduta ogni mattina all’edicola è un’altra, sempre la stessa, ossessionante nella sua ripetitività. Quando non è la Borsa che crolla, è la bacchettata dell’Unione europea: «Clima, la Ue attacca l’Italia» (La Repubblica, l’altro ieri); «Italia-Ue, scontro sul clima» (La Stampa, idem). Non fai in tempo a metterti le mani in tasca, più per riparare le dita dalle eurovergate che per controllare d’avere ancora il portafoglio, ed ecco appoggiarsi sulla tua spalla l’uccello del malaugurio di qualche sinedrio internazionale: «L’Fmi: recessione globale vicina» (Corriere della Sera, 10 ottobre). E va bene il dovere di una gagliarda opposizione, ma la sequenza dei titoli di prima pagina che La Repubblica ha sfornato negli ultimi giorni appare, al netto dei tracolli borsistici, da infarto: «Europa, l’Italia blocca la lotta contro i gas serra» (17 ottobre); «Uccideranno Saviano e la scorta prima di Natale» (14 ottobre); «No della Ue al fondo anticrisi» (8 ottobre); «L’allarme di Bce e Fmi: siamo come negli anni ’30» (3 ottobre); «Attacco alle banche italiane» (2 ottobre). Tanto peggio, tanto meglio. L’aria profuma di catastrofe e i disfattisti inspirano a pieni polmoni. Sono lì che aspettano di vedere gli affamati in fila indiana a ritirare i risparmi dalle banche - così finalmente falliranno, le maledette - o a comprare dal fornaio tre etti di pane con una sporta piena di euro svalutati, come a Weimar.
Un bravo direttore, Guglielmo Zucconi, si assolveva così: «Tutti i giorni nel mondo decollano e atterrano centinaia di aerei. Nessuno ne parla. A noi, i lettori chiedono di parlare soltanto dell’unico aereo che cade». E se appartiene alla compagnia di bandiera, meglio ancora. Invece io penso, con Giuliano Ferrara, che gli italiani abbiano bisogno di ben altro, per farcela: di un’intensa campagna di alfabetizzazione civile e sentimentale.
Osservatela bene questa Italietta caricaturale che vi spacciano per il vostro Paese e siate sinceri con voi stessi: la riconoscete? Vi sentite rappresentati dai piloti e dalle hostess che prorompono in applausi quando sta per fallire l’azienda da cui ricevono lo stipendio? Eppure degli assistenti di volo sfascisti parlano tutti, di voi nessuno.
Non conta niente che l’Italia sia al primo posto, fra le cinque nazioni d’Europa a più alto tasso d’immigrazione, per le politiche d’integrazione (59% di permessi di soggiorno accordati), davanti a Regno Unito (48%), Germania (36%), Francia (22%) e Spagna (8,5%). Voi siete razzisti.
Non conta niente che l’Italia sia prima al mondo per numero di medici in servizio ogni 1.000 abitanti e seconda per capacità e qualità dell’assistenza (fonte: Oms). Voi prima o poi schiatterete di malasanità.
Non conta niente che l’Italia figuri in testa alla classifica mondiale per i beni artistici e culturali e al secondo posto per quelli storici, che disponga del più alto numero di siti protetti dall’Unesco come patrimonio dell’umanità (ben 43, contro i 33 della Francia, al quinto posto, e i 17 della Grecia, al tredicesimo). Voi siete incivili e incolti.
Non conta niente che l’Italia sia la prima, su 146 Stati, per gli indici di benessere dei bambini (fonte: Save the children). Voi non amate i vostri figli, né sapete educarli.
Non conta niente che l’Italia sia al primo posto in Europa (e al quinto nel mondo) per superfici agricole coltivate biologicamente, per animali allevati con metodi naturali, per numero di prodotti a denominazione d’origine controllata e a indicazione geografica protetta. Voi siete inquinatori, sofisticatori, nemici dell’ambiente.
È il disfattismo la malattia nazionale che c’intossica. La diagnosi non è mia. La fece il Grande Vecchio della sinistra italiana, Vittorio Foa, 98 anni compiuti un mese fa. Ho tenuto da parte il ritaglio ingiallito. È del 1996, ma attualissimo: «Abbiamo una cultura pessimistica che tende a svalutare il valore dell’Italia. A sinistra c’era il disfattismo di Piero Gobetti. A destra Gaetano Mosca e Vilfredo Pareto rimpiangevano che mancassimo di rigore protestante. Ma qualcosa smentisce tutti. Negli ultimi 50 anni l’Italia è diventata uno dei primi Paesi del mondo. Le do l’immagine di un patriota? Lo sono.
È una bugia dire che va tutto male».La parola d’ordine dei disfattisti è ancora la stessa, non cambia mai: «Che tempi!». Provate a chiedergli che cosa fanno loro per renderli migliori. Non sapranno rispondervi.
stefano.lorenzetto@ilgiornale.it
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