Sardegna, un mondo di sapori a parte

Chiara Cirillo

Schietta, forte e semplice proprio come la terra di cui è sublime espressione, la cucina sarda è degna figlia del territorio in cui risiedono le sue origini, caratterizzate da una cultura agropastorale che, nonostante il corso dei secoli, ha mantenuto caratteristiche ben definite grazie anche al suo essere geograficamente «isolata». Tradizioni che hanno dato origine a una varietà sorprendente di prodotti tipici nati dalla necessità di vivere anche per tempi lunghi senza poter preparare cibi elaborati. Un esempio per tutti è il pane «carasau» (non per niente originario della zona della Barbagia) conosciuto anche impropriamente come «carta musica»: si conserva a lungo ed è l’ingrediente principale dell’antica ricetta del «pane frattau», preparato con salsa di pomodoro, formaggio pecorino e uova. Sempre della Barbagia, la più antica area dell’isola è «su purcheddu», il maialino da latte arrosto aromatizzato solo con sale e foglie di mirto. Altro cardine della cultura gastronomica sarda è il formaggio, che chissà per quale strana alchimia qui acquista caratteristiche organolettiche di grande qualità: probabilmente per la natura dei pascoli, per il clima o per l’alta concentrazione di erbe aromatiche tipicamente mediterranee. Tra i più pregiati troviamo il pecorino sardo, formaggio doc, prodotto esclusivamente sull’isola.
Ma la Sardegna dei sapori è molto di più: questa regione vanta infatti una varietà di carne, pesce, verdura, dolci e vini straordinaria, dal profumo inconfondibile di mirto, finocchietto selvatico, alloro, rosmarino, spezie molto utilizzate che crescono spontaneamente in grandi quantità. Ma veniamo ad una cena tipicamente sarda: «Per gustare profumi e sapori di questa terra bisogna provare sicuramente i culurgiones, ravioli con ripieno di formaggio, patate, aglio e mentuccia», è il consiglio di Valentina Torru, cagliaritana doc partita alla volta di Roma trent’anni fa e oggi titolare del ristorante Il Drappo in vicolo del Malpasso 9, piccola traversa di via Giulia.
Ma iniziamo dall’entrée: di pesce o di carne? «Il caratteristico piatto sardo che precede il pranzo o la cena - spiega Valentina - è costituito da salumi preparati secondo antichi procedimenti e con l’utilizzo di ingredienti semplici: sale, poche spezie e un’accurata stagionatura. Il più caratteristico è il prosciutto di maiale o cinghiale, più noto come “prosciutto sardo”, il salame di Macomer o la salsiccia secca o affumicata, salume simbolo della nostra gastronomia. Se invece ci orientiamo sul pesce, c’è tutto il mare dentro: granchi, cozze, arselle, patelle, datteri di mare, chiocciole, ricci, aragosta, polpo e bottarga di muggine».
Per i primi la tradizione sarda vanta diversi tipi di paste, secche e fresche come i malloreddus, gnocchetti rigati e affusolati che a seconda delle regione assumono svariati nomi dialettali. I fregula, piccole palline preparate a mano con semola di grano duro o gli spaghetti con la bottarga. Tra i piatti a base di carne, oltre al già citato porchetto, capretto allo spiedo, pecora bollita o grigliata mista di pesce sono i piatti più tradizionali.
Anche in pasticceria non ci facciamo mancare niente, partendo da un comune denominatore per ogni occasione e ricorrenza: la mandorla. Ed ecco gli amaretti «is pabassinas» con uvetta passa, il tradizionale gattò con foglie di limone o di alloro, mandorla e zucchero o i «sospiri». E poi le internazionali seadas, quelle sfoglie di pasta ripiene di formaggio e bagnate di miele.

Per i liquori, manco a dirlo, il mirto, bianco o rosso, simbolo nel mondo della regione, ma anche il liquore di fico d’india e l’acquavite, più conosciuta forse con il nome di «filu ’e ferru».
Insomma, l’antica tradizione che l’isolamento geografico ha preservato dalle contaminazioni del «continente» consente ancora oggi di assaporare i sapori di una volta, dove c’è tutto il Mediterraneo dentro.

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