«Scappini, vero rivoluzionario non si faceva chiamare operaio»

«Scappini, vero rivoluzionario non si faceva chiamare operaio»

Nulla da eccepire se un ente come la Regione abbia ritenuto di fare distribuire gratuitamente, per mezzo di un quotidiano di sua fiducia, un opuscolo dal contenuto riguardante l’evento storico che ha caratterizzato - non poco - la Liberazione di Genova del 25 Aprile 1945.
Però, in molti hanno voluto osservare che l’omaggio commemorativo fatto in anticipo di alcuni mesi, rispetto alla data tradizionale di aprile, lascia un po’ sorpresi. Non è pure sfuggito che la lontananza da quei festeggiamenti, ormai diventati una consuetudine costantemente ripetitiva, abbia dato d’intendere che si tratta -e non altro - di una forzatura per scopi di attualità politica.
Cosa potrebbe giustificare diversamente la divulgazione di questo fascicolo antifascista, se non la preoccupazione palese di qualcuno in carica nell’istituzione regionale, il quale ha avvertito che la sua ricandidatura, alle prossime elezioni Regionali di marzo 2010, potrebbe essere messa in discussione?
Per cui, da parte di chi teme ciò, tentare - con una pubblicazione dai toni esaltanti - di aggrapparsi in modo del tutto strumentale ad un valore ideale come quello che rappresenta tutt’ora la Resistenza, potrebbe fare sperare in compiacenti consensi.
Non ci si deve scandalizzare più di tanto. D’altronde dal serbatoio della Resistenza hanno sempre pescato e pascolato molti politici. Quindi, perché anche noi - si direbbe - non potere utilizzare il tema della Resistenza inneggiandola con uno stampato? Specie oggi - potrebbero continuare a risponderci - quando si constata che la sinistra continua ad annaspare, priva di idee, alla ricerca di supporti politici e ideali?
Comunque, su questo strumento che è stato diffuso, all’infuori di possibili ed opportuni richiami morali o di principio a cui si possono imputare, non vi è nessuna regola o codice giuridico che possa impedire di celebrare avvenimenti anche se non sono conformi all’ufficialità rituale del calendario. Poi, nel caso questa procedura, poco ortodossa, potrebbe essere additata - per paradosso - su quanta libertà di espressione vi sia nel nostro Paese.
Fatta questa premessa, il rilievo critico su cui sento il bisogno di esprimermi, prende spunto dal titolo del fascicolo in questione: «Il Generale e l’Operaio», su cui viene sintetizzato - essendo, i due, i firmatari principali: l’uno in rappresentanza delle forze militari germaniche, l’altro rappresentante del Cln Ligure - l’«Atto della resa».
Purtroppo si denota, proprio qui, da parte di chi ha rispolverato l’armamentario del 25 Aprile, una vocazione all’inganno permanente. Attenzione. E non solo nella forma, ma bensì nella sostanza. A dimostrazione di ciò, nonostante siano trascorsi 64 anni da quel fatto, si continua a distillare demagogia.
A cosa di specifico mi riferisco? Mi riferisco al richiamo di qualificazione: «L’Operaio Remo Scappini». Che, messo in questo modo non può che assumere un significato di comodo. Infatti, su questo aggettivo «operaio», lo stesso Scappini - e mi posso onorare di averlo frequentato quando, con sua moglie «Clara», capitava nella nostra città e di avere avuto con lui una lunga ed istruttiva corrispondenza - avrebbe precisato, e anche con fare stizzito, di non gradire che si aggiungesse, prima del suo nome e cognome, quella denominazione impropria. Poi, negli ultimi anni considerava quell’attributo una assurdità. Retaggio di un passato da dimenticare. Proprio così! E se ne rammaricava che qui a Genova non avessimo ancora smesso di usarlo. Ed eravamo nella metà degli anni ’70.
Remo Scappini fu - di fatto - un funzionario del Pci già in età giovanile. Per questo non tardò a diventare presto un autentico rivoluzionario di professione. Fece attività cospirativa. Patì la galera. Appena riacquistata la libertà fuggì dall’Italia clandestinamente in Francia. Da lì, fu mandato in Urss a studiare in scuole di indottrinamento marxista-leninista. Venne addestrato, pure, in materie militari... Con la caduta del fascismo, nel luglio del 1943, fu incaricato dal partito di organizzare, in diversi settori, la lotta partigiana a Genova e in Liguria, dove ebbe contatti, tra gli altri, con Buranello, Pieragostini, Novella...
Quindi non era, come si è sempre voluto fare credere, quell’operaio che, prelevato poco prima da una fabbrica genovese (lui era di Empoli e aveva per soli due anni fatto l’allievo vetraio) veniva condotto a firmare, in tuta blu da lavoro, un documento dalla portata storica esemplare.
Scappini, essendo persona di buon senso - per non dire di rettitudine morale - soffriva della mistificazione. E questo rammarico ebbe modo di esternarlo... Ma, non ci fu verso di rimuovere e di cancellare quell’attribuzione.
Fu con lo stalinismo che il termine «operaio» si estremizzò e venne elevato ad emblema. Nell’Urss l’operaio venne innalzato a simbolo, a modello di vita. In questo paese la classe operaia aveva - si diceva - preso il potere, quindi era considerata il soggetto rivoluzionario da imitare, da esportare... Lenin mise in pratica la teoria di Marx là, dove si affermava che l’operaio era l’antagonista di classe del capitalismo, della borghesia... Chi avrebbe potuto sostituire la classe borghese al potere? Naturalmente, la classe operaia... E non ci sarebbero state altre categorie produttive che potessero uguagliarlo. L’operaio era integro. Per stessa sua natura non aveva debolezze piccolo borghesi. La sua forza - così recitava quella dottrina - consisteva nella sua capacità lavorativa... Altro non aveva... A differenza del contadino o del semplice artigiano che, messi a confronto con l’integrità dell’operaio, rimanevano sospettati di avere per eredità tendenze all’accumulazione dei beni, dei prodotti della terra... di essere predisposti a privatizzare, a conservare risorse... e, fuori dai controlli del Partito, venderli a borsa-nera...
Tutto ciò veniva imposto e propagandato dal comunismo nel secolo scorso e per decenni, causando deportazioni di masse di uomini, imprigionando migliaia e migliaia di uomini per educarli... provocando immani catastrofi... Il progetto di una idea assoluta era orribile...
Anche per queste ragioni si rimane stupefatti nell’apprendere che per alcuni il tempo (quel tempo) non sia riuscito di passare. Avrei pensato che quel trascorso drammatico fosse stato sepolto, superato.

Che si fosse maturata nelle coscienze - specie in chi pratica la politica da osservatori di privilegio - la convinzione che a sancire il fallimento epocale di quella ideologia furono quei simboli, quelle raffigurazioni, quei comportamenti assurdi, quel suo linguaggio.

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