Se Passera e Catricalà litigano su Mediobanca

Nella legge sulle liberaliz­zazioni c’è una normetta scritta e pensata da Catricalà per Medio­banca. La legge nasce sotto le migliori intenzioni

Se Passera e Catricalà litigano su Mediobanca
I nostri ministri tecnici hanno un pro­blemino con la finanza. E il meno tec­nico dei ministri tecnici, Corrado Pas­sera, se n’è accorto da tempo. Tanto che i palazzi romani rumoreggiano di una sua sempre maggiore insofferenza per alcune norme volute da Antonio Catricalà. Andia­mo per ordine. Nella legge sulle liberaliz­zazioni c’è una normetta (l’articolo 36) scritta e pensata da Catricalà per Medio­banca. Ora la legge nasce sotto le migliori intenzioni: non si vuole che la stessa persona sia consigliere di amministrazione di due o più banche con­temporaneamente. Mercato. Pulizia. Trasparenza. Urca se ci piace.

Come anche i sassi sanno, Mediobanca ha nel suo portafo­glio l’ultima grande partecipazione dell’Italia che conta: le As­sicurazioni Generali. Di fatto la controlla, dice sempre Catri­calà. Chi ha le chiavi di Mediobanca, ha anche quelle di Trie­ste. A ciò si aggiunga che oggi l’istituto milanese capitalizza 4 miliardi; le assicurazioni cinque volte tanto. Dentro a questa matriosca si sono giocate tutte le partite della finanza italiana: compresa la battaglia con i francesi per mantenere Medioban­ca e dunque Generali nella sfera di influenza della finanza mi­lanese.

Ma che c’entra tutto ciò con il nostro articolo 36? Molto. Mediobanca è oggi retta da un patto di sindacato dove Unicredit e una pattuglia di privati controllano la banca. L’esercizio di questo dominio condiviso è fatto dai rappresentanti di Unicre­dit nel cda di Mediobanca (sono tre: Palenzona, Rampl e Pe­senti). Per il resto Unicredit lascia fare: non sono più nei comi­­tati di gestione ( compreso quelle nomine in cui si astennero ai tempi di quella di Franco Bernabè in Telecom) e il manage­ment della banca domina nella gestione operativa dell’Istitu­to. Insomma i tre dell’Ave Maria sono lì a controllare il loro in­vestimento. E qui nascono i problemi: non possono fare le due cose. Stare nel board di Unicredit e in quello della concorren­te Mediobanca, dice Catricalà. Stessa sorte per Ennio Doris. Il patron di Mediolanum deve mollare la presa in Mediobanca o (decisamente più improbabile) in Mediolanum. Il 30 marzo, alla data del rinnovo del consiglio di Unicredit, i «trentaseisti» dovranno scegliere: o candidarsi per il cda di Unicredit o mol­lare Mediobanca. Avrebbero lasciato piazzetta Cuccia già og­gi. Ma visto che la legge prevede come termine il 30 marzo, fa­ranno tutto quel dì. A questo punto si aprono due scenari.

1. Palenzona&C da una parte lasciano il consiglio di piazzet­ta Cuccia, dall’altra entrano nel patto di sindacato che gover­na la banca. Al loro posto in consiglio qualche professionista indipendente (figurarsi). Risultato netto per Catricalà: zero. Si certifica che le decisioni vere vengono prese dai patti di sin­dacato e non dai consigli fatti dai manager e dai «burattini» de­gli azionisti bancari. I cda diventerebbero delle messe canta­te, che decidono nulla e da cui stare lontani. Non proprio un salto in trasparenza.

2. Unicredit molla le poltrone in Mediobanca e al contempo cede le sue azioni. A comprare secondo i patti possono essere in prima istanza i soci, visto il loro diritto di prelazione. È facile prevedere che i francesi si portino a casa il bottino. Anche se oggi sono al limite dell’11 per cento. Ma con un socio come Unicredit venditore della sua quota e nessun socio in grado di rilevarlo, il patto verrebbe cambiato. Risultato ottimo sotto il profilo formale per i nostri tecnici al governo. Ma pessimo dal punto di vista sostanziale: nessuna opa, nessuna scalata, e gli intrecci si potrebbero trasferire dal chilometro quadrato di piazza della scala, alle casseforti delle banche francesi. Sai che risultato.

P.S.

Ai Ligresti non rimarrà nulla dall’Opa su Premafin. I 70 milioncini che in una prima fase intascheranno andranno ai creditori della loro società Marcora, che verrà presto messa in liquidazione. Grazie a qualche immobile risparmiato e ai 70 milioni, si spera in bonis.

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