Come anche i sassi sanno, Mediobanca ha nel suo portafoglio l’ultima grande partecipazione dell’Italia che conta: le Assicurazioni Generali. Di fatto la controlla, dice sempre Catricalà. Chi ha le chiavi di Mediobanca, ha anche quelle di Trieste. A ciò si aggiunga che oggi l’istituto milanese capitalizza 4 miliardi; le assicurazioni cinque volte tanto. Dentro a questa matriosca si sono giocate tutte le partite della finanza italiana: compresa la battaglia con i francesi per mantenere Mediobanca e dunque Generali nella sfera di influenza della finanza milanese.
Ma che c’entra tutto ciò con il nostro articolo 36? Molto. Mediobanca è oggi retta da un patto di sindacato dove Unicredit e una pattuglia di privati controllano la banca. L’esercizio di questo dominio condiviso è fatto dai rappresentanti di Unicredit nel cda di Mediobanca (sono tre: Palenzona, Rampl e Pesenti). Per il resto Unicredit lascia fare: non sono più nei comitati di gestione ( compreso quelle nomine in cui si astennero ai tempi di quella di Franco Bernabè in Telecom) e il management della banca domina nella gestione operativa dell’Istituto. Insomma i tre dell’Ave Maria sono lì a controllare il loro investimento. E qui nascono i problemi: non possono fare le due cose. Stare nel board di Unicredit e in quello della concorrente Mediobanca, dice Catricalà. Stessa sorte per Ennio Doris. Il patron di Mediolanum deve mollare la presa in Mediobanca o (decisamente più improbabile) in Mediolanum. Il 30 marzo, alla data del rinnovo del consiglio di Unicredit, i «trentaseisti» dovranno scegliere: o candidarsi per il cda di Unicredit o mollare Mediobanca. Avrebbero lasciato piazzetta Cuccia già oggi. Ma visto che la legge prevede come termine il 30 marzo, faranno tutto quel dì. A questo punto si aprono due scenari.
1. Palenzona&C da una parte lasciano il consiglio di piazzetta Cuccia, dall’altra entrano nel patto di sindacato che governa la banca. Al loro posto in consiglio qualche professionista indipendente (figurarsi). Risultato netto per Catricalà: zero. Si certifica che le decisioni vere vengono prese dai patti di sindacato e non dai consigli fatti dai manager e dai «burattini» degli azionisti bancari. I cda diventerebbero delle messe cantate, che decidono nulla e da cui stare lontani. Non proprio un salto in trasparenza.
2. Unicredit molla le poltrone in Mediobanca e al contempo cede le sue azioni. A comprare secondo i patti possono essere in prima istanza i soci, visto il loro diritto di prelazione. È facile prevedere che i francesi si portino a casa il bottino. Anche se oggi sono al limite dell’11 per cento. Ma con un socio come Unicredit venditore della sua quota e nessun socio in grado di rilevarlo, il patto verrebbe cambiato. Risultato ottimo sotto il profilo formale per i nostri tecnici al governo. Ma pessimo dal punto di vista sostanziale: nessuna opa, nessuna scalata, e gli intrecci si potrebbero trasferire dal chilometro quadrato di piazza della scala, alle casseforti delle banche francesi. Sai che risultato.
P.S.
Ai Ligresti non rimarrà nulla dall’Opa su Premafin. I 70 milioncini che in una prima fase intascheranno andranno ai creditori della loro società Marcora, che verrà presto messa in liquidazione. Grazie a qualche immobile risparmiato e ai 70 milioni, si spera in bonis.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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