Se la politica è alla ricerca dei moderati

Gianni Donno

Galli della Loggia chiede alla sinistra riformista e moderata italiana di destarsi. Passan tre giorni e leggiamo Panebianco andare alla ricerca dell’Islam moderato. Sembrano due cose molto diverse, ed invece hanno aspetti comuni. Nel campo della sinistra, la battaglia contro il radicalismo politico fu sempre problematica per i moderati. In Italia lo comprese Turati nel 1922, fondando un nuovo partito, Saragat lo ripetè nel 1947, prendendo a modello il Léon Blum francese. Nenni lo capì nel 1956, ricevendo le scuse dai compagni cinquant’anni dopo. Moderati e radicali non possono andare a braccetto: i primi soccombono. Per loro l’unica strada è separarsi e confrontarsi duramente, anche se non disporranno mai di armi pari. Sta qui la differenza: l’arma del moderatismo politico è democratica, istituzionale, incentrata sul principio della delega e della maggioranza. I radicali amano invece la cosiddetta democrazia diretta, spesso antistituzionale, sempre antagonistica e piazzaiola. La sinistra riformista italiana ha il complesso della piazza, dei movimenti. Là dove sparute minoranze vocianti alimentano movimenti di protesta, di occupazione, di rivendicazione, lì i cosiddetti riformisti non possono mancare, devono esser presenti. Ne va di una loro presunta credibilità «popolare» e quindi legittimazione politica. È il mito eversivo del primato della «gente» rispetto al popolo elettore. È un retaggio antico, degno anche di studio psicoanalitico. Per questo Berlinguer si arrabbiò tanto alla vignetta di Forattini che lo raffigurava in vestaglia e seduto in poltrona, infastidito dal passare di una manifestazione. Forattini colpì nel profondo: l’ego comunista del segretario restò gravemente ferito.
In Italia questo copione triste, che diviene spesso patetico, è già noto e rivisto.
Nelle vicende dei rapporti con il mondo islamico viene invece rivelandosi, con il disfarsi del «mito dialogante», dopo le parole del Papa, il fondale cartonato dell’Islam cosiddetto moderato. Vietato appoggiarsi al fondale: subito si buca.
Chi sono gli islamici moderati? Gli interlocutori con cui dialogare e costruire il famoso percorso comune? Risposta: lo 0,5 per cento della popolazione di quegli Stati. Governanti, diplomatici, intellettuali, qualche uomo d’affari, con i quali dialogare nelle sedi internazionali, nei convegni, negli scambi culturali e commerciali. Ed ancora: modesti gruppi in Occidente.

Quanto possono, costoro, influenzare con il loro (presunto) moderatismo il restante 99,5 per cento della popolazione, affascinata dal richiamo fondamentalista e piazzaiolo? Poco o niente, dubito. E poi, diciamolo sinceramente, lo vogliono e lo possono veramente fare? È questa la domanda di fondo, che è necessario porsi. Al suo posto continua l’autoconsolatoria ricerca del moderato perduto.

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