Se la retorica dell’Unità servisse contro il razzismo

Se la retorica dell’Unità servisse contro il razzismo

di Enrico Demme*

Nota per gli insegnanti politicamente corretti: le celebrazioni dell’Unità d’Italia potrebbero far piazza pulita di tanto razzismo. Non è quello, il razzismo, la loro bestia nera? E non sono loro, gli insegnanti di sinistra, a predicare continuamente la tolleranza, l’accoglienza, il rispetto del diverso, perfino quando si manifesta come invasore o almeno ospite gradito? Le celebrazioni in corso, era prevedibile, stanno affondando nel grasso della retorica. Nelle scuole tanti poveri innocenti, costretti ormai quotidianamente a ritagliare e colorare bandiere tricolori, si chiedono invano cosa sia l’«elmo di Scipio» e perché ci sia toccato uno degli inni nazionali più brutti del mondo. Invece con un minimo sforzo si sarebbe potuto fare giustizia di un tipo di razzismo duro a morire, quello che riguarda il Nord e il Sud d’Italia.
Anni fa Vittorio Messori ricordò al Meeting di Rimini (e fu tra i primi ad avere questo coraggio) che il Sud prima dell’annessione era ben più sviluppato del Nord. Più laureati, più industrie, la prima ferrovia... Un vantaggio spazzato via in pochi mesi di governo garibaldino, un disastro da cui il Meridione non si sarebbe più risollevato. Se non si tiene conto di questo, non si capisce perché ancora oggi il Sud si trovi in così pietose condizioni. Allora, l’unica risposta è: i «terroni» sono dei parassiti, manca la voglia di lavorare. Il razzismo, appunto, che potrebbe essere eliminato da un’analisi finalmente onesta degli avvenimenti risorgimentali e delle loro conseguenze nel tempo. Trovando anche certe coincidenze sorprendenti con la realtà di oggi.
Pochi anni fa, quando ancora i programmi delle elementari prevedevano che si arrivasse fino al Novecento, mi azzardai a spiegare cosa fosse la Massoneria, e che ruolo avesse avuto negli avvenimenti che portarono all’Unità d’Italia. Un ragazzino mi ascoltò in silenzio, poi sbottò: «Sai che a mio padre hanno offerto di diventare massone? Però ha rifiutato». Mi informai su quale fosse la professione di questo signore: faceva il notaio, un ruolo discreto ma utile ai «Fratelli d’Italia» nella gestione di certe pratiche.

Lo stesso Vittorio Messori ricorda che durante il periodo in cui lavorava come cronista per La Stampa gli fu offerta l’iscrizione alla Massoneria. Rifiutò, e la sua carriera presso il quotidiano torinese, misteriosamente, si arenò. Mah, sarà proprio vero che l’Italia s’è desta? A giudicare da certi fatterelli sembrerebbe il contrario...
*maestro elementare

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