Economia

Un secolo di amore e odio

Alla fine Fiat e Ford sono riuscite a trovare un punto d’incontro. È dai primi anni del secolo scorso che il colosso Usa e la casa di Torino si guardano prima con simpatia, quindi con sospetto, per riavvicinarsi e allontanarsi subito dopo. Un fatto è certo: alla Ford l’auto italiana ha sempre fatto gola e non soltanto per la leggendaria frase pronunciata da Henry Ford: «Mi tolgo il cappello quando passa un’Alfa Romeo». Nel 1963 è Enzo Ferrari a dire no al passaggio della Ferrari agli americani. Quindi, negli anni ’80, è l’acquisto della Fiat a sfumare a un passo dalla firma.
Ma la Ford non demorde e punta all’Alfa Romeo, sbattendo però contro il muro innalzato dalla stessa Fiat, con l’apporto del governo di allora, contraria allo sbarco sul territorio nazionale di concorrenti stranieri. E così il Biscione diventa torinese. In verità la Ford riuscì ad aprire una fabbrica di assemblaggio in Italia: era il 1923 e venne ricavata in un vecchio magazzino di Trieste.
Proprio dagli «amici» del Michigan, intanto, tra il 1906 e il 1923 il senatore Giovanni Agnelli apprende, durante alcune visite nelle grandi officine americane, come abbassare i costi e rivoluzionare la produttività di un’azienda. È il modello della catena di montaggio.
Nel ’29, per tutta risposta, le rimostranze dello stesso Agnelli inducono il Duce a sbarrare la strada al gruppo di Dearborn, pronto a costruire un nuovo impianto a Livorno.

La vicenda di Martin Leach, il top manager della Ford che due anni fa doveva diventare capo di Fiat Auto, e «bloccato» dalle carte bollate degli americani è l’ultimo della serie di screzi.

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