«Il settore giochi è una risorsa Non uccidiamolo con le tasse»

Attenzione a non uccidere la «gallina dalle uova d'oro». Non ucciderla di tasse e proibizioni. Dopo una crescita che sembrava non finire mai, anche il settore giochi comincia a sentire aria di frenata. In attesa dei conti reali, la stima sull'andamento della raccolta nel 2012 segna una leggera flessione.
Un dato che preoccupa, anche perché i giochi assicurano allo Stato un gettito notevole in prelievi e tributi. E tra proprietari, produttori, titolari di esercizi e figure varie, l'industria e l'indotto coinvolgono decine e decine di migliaia di addetti. Una grande industria, rappresentata dalla Sapar, presieduta da Raffaele Curcio, che riunisce circa 1.500 operatori. Un'industria che paga tasse per oltre il 53%, tanto che in vista del prossimo cambio generazionale degli apparecchi imposto dalle norme, l'Aams ha operato la riduzione della percentuale minima di restituzione in vincite dal 75 al 74%.
Allora, presidente Curcio, le proiezioni parlano di un calo da 29,7 a 28,6 miliardi?
«Il dato di riferisce agli apparecchi di intrattenimento. Ma la flessione, oltre che alla crisi, è dovuta anche a scommesse e giochi online».
E qual è la situazione in Italia se si confronta con gli altri Paesi?
«Siamo partiti in ritardo rispetto a Germania, Spagna e Gran Bretagna. La regolamentazione degli apparecchi a vincita è del 2004, in altri Paesi risale agli anni Ottanta. Abbiamo vissuto il culmine. In Italia la rete fisica è molto forte».
Quante tasse pagate allo Stato?
«Siamo sottoposti alla tassazione più elevata. Il gettito totale è sui 10 miliardi. Si parla di un prelievo del 12,70 sul lordo, a cui aggiungere uno 0,30 per monopoli e 0,50 per la rete. Su cassetto si arriva al 56-57%, anche perché ci sono le voci classiche: Irpef, Ilor, e l'Iva che viene bruciata, non potendo essere recuperata».
Come si divide la «torta»?
«Diciamo che su 100 euro 74 sono restituite in vincite e il resto diviso tra il fisco e un 11,7% ripartito a sua volta tra gestori degli apparecchi ed esercenti».
Tuttavia, in campagna elettorale molti hanno puntato il dito contro di voi trattandovi alla stregua di privilegiati.
«Ci sono segmenti privilegiati. Ma alla politica devo fare un appunto. Tutti hanno cavalcato questi argomenti: tasse e proibizionismo. Ma devono fare una riflessione. Nessuno ha pensato al contributo che diamo in termini di occupazione e investimento. Parliamo di 200mila addetti e 150mila esercenti pubblici coinvolti».
Quindi suggerisce più cautela?
«Oggi si parla molto di proibizionismo. Il settore ha avuto uno sviluppo enorme, è vero; è il momento di un aggiustamento di tutto il settore del gioco».
Ma proibire può essere un danno.
«Il gioco è sempre esistito, il proibizionismo non serve. Il gioco legale lo si vede, il settore è trasparente. Quello illegale invece sfugge ai controlli. È il momento di una riflessione, che stabilizzi il fenomeno».
Vi siete dati da fare contro il gioco «patologico»?
«Il modello italiano è un esempio in Europa. Il gioco deve essere controllato. Abbiamo adottato campagne a tutela dei minori, corsi di formazione per gli esercenti; esiste un Albo dei gestori che prevede requisiti e controlli. Il livello di sicurezza è elevato. Una cultura del gioco sana è nel nostro interesse».


E come definirebbe la cultura del gioco?
«Svago e intrattenimento. Noi non vogliamo individui ludopatici ma persone che si approcciano al gioco divertendosi. Le devianze ci sono, ma la maggior parte degli italiani gioca in modo sano».

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