Adalberto Signore
da Roma
«Spero che dopo questa esperienza anche i Ds comprendano che il gioco del “tanto peggio, tanto meglio” finisce per indebolire tutta la politica» che è ormai «eterodiretta» dai «quotidiani legati ai grandi gruppi industriali» che «sempre più sistematicamente agiscono come partito» e «dettano la linea politica». Sandro Bondi ha il suo consueto tono pacato e cortese, nonostante il pesante j’accuse che lancia contro alcuni grandi gruppi economici finanziari («che tentano di imporre un proprio disegno tecnocratico e, quindi, a-democratico per ridisegnare la mappa del potere in Italia») e i Ds («la cultura giustizialista» dei «tempi di Tangentopoli» ha «conquistato quasi totalmente i gruppi dirigenti della Quercia» e «oggi i nodi vengono al pettine»). Il coordinatore nazionale di Forza Italia, però, fa un passo in più e tende la mano a Fassino e compagni arrivando a proporre una sorta di patto di unità nazionale tra Forza Italia e i Ds. Con un solo obiettivo: «Confrontarsi, anche duramente, nella dialettica istituzionale su idee e programmi» e «lottare» insieme per difendere «il voto degli italiani». Perché solo così «la politica si rafforza e i poteri editoriali ed economici non cadono nella tentazione di sostituirsi al gioco democratico».
Onorevole Bondi, la vicenda Unipol-Bnl e le inchieste della magistratura hanno fatto emergere una fitta rete di rapporti di potere tra Consorte, Fiorani, Gnutti e un certo mondo finanziario. Crede che i Ds abbiano svolto un ruolo attivo o che siano stati solo dei semplici spettatori?
«Non so se abbiano avuto un ruolo attivo o no, ma quello che appare chiaro è che Consorte agiva di concerto con esponenti di primo piano dei Ds. Pensare di scaricare tutte le colpe su di lui sarebbe un modo per sfuggire ad una necessaria riflessione da parte della sinistra. Io non sono un esperto del sistema bancario, ma da tempo ho sentito parlare, per fare un solo esempio, dell’interesse del Monte dei Paschi di Siena per la Bnl. Osservo soltanto che il Monte dei Paschi è un interessante salotto, ben protetto dall’oasi toscana, dove si possono trovare insieme alcuni dei protagonisti delle vicende di questi giorni: da Gnutti a quello che fino a ieri sera era il numero due dell’Unipol, Sacchetti; da Campaini, rappresentante delle cooperative rosse della Toscana, a Gorgoni, che proviene dalla Banca 121, già Banca del Salento, della quale era se non sbaglio direttore De Bustis, attualmente amministratore delegato della Deutsche Bank. Non trova interessante questo salotto?».
C’è chi dice che è in atto un riassetto del sistema di potere economico, finanziario e politico. È d’accordo?
«Penso ci sia un tentativo di grandi gruppi economici e finanziari di imporre un proprio disegno tecnocratico e quindi a-democratico per ridisegnare la mappa del potere in Italia. Non voglio fare dietrologia, sto ai fatti. I grandi quotidiani italiani sono legati ai grandi gruppi industriali e - basta leggerli - sempre più sistematicamente agiscono come “partiti” che dettano la linea alla politica, promuovendo o bocciando partiti e persone. Qualche settimana fa l’editore di Repubblica, Carlo De Benedetti, si è fatto intervistare a tutta pagina dal giornale concorrente, il Corriere della Sera, indicando perfino i nomi dei futuri leader del centrosinistra. Successivamente lo stesso Corriere ha tracciato, grazie alla penna del suo direttore Paolo Mieli, un programma politico per il futuro del Paese. Lo si voglia o no, in questo modo la politica finisce per essere eterodiretta. Per questo dico ai Ds che i grandi partiti popolari e democratici, fra cui principalmente Forza Italia e i Ds, debbono smettere di giocare alla delegittimazione e confrontarsi, anche duramente, nella dialettica istituzionale. Solo se si cambia registro la politica si rafforza e i poteri editoriali ed economici non cadono nella tentazione di sostituirsi al gioco democratico. Ma per questo confronto istituzionale a sinistra ci vorrebbero degli interlocutori seri e credibili che purtroppo fatichiamo a trovare».
In questo riequilibrio del potere in molti leggono una spinta verso un ritorno al grande centro.
«Certamente oggi il bipolarismo è in pericolo per un eccesso di delegittimazione, in particolare quella orchestrata dalla sinistra nei confronti di Berlusconi. Spero che da questa esperienza anche i Ds comprendano che il gioco del “tanto peggio, tanto meglio” finisce per indebolire tutta la politica. Confrontiamoci su idee e programmi, lottiamo per il voto degli italiani ed evitiamo la demagogia sfascista, oppure chi vincerà le elezioni sarà comunque più debole. Il bipolarismo ha dato maggioranze stabili, un risultato che si deve in buona parte alla discesa in campo di Berlusconi: si tratta di una conquista per il Paese che va difesa. Per quanto riguarda il grande centro è un’illusione che qualcuno insegue. In realtà, il grande centro c’è già ed è rappresentato da Forza Italia. Le urne lo confermeranno e decreteranno la fine di certi interessati velleitarismi di cui si alimenta spesso la vita politica italiana».
A suo avviso, dunque, i Ds hanno delle responsabilità rispetto a quanto sta accadendo questi giorni?
«Credo che dovrebbero riconoscere pubblicamente che la “diversità” e la “superiorità morale” di cui la sinistra italiana si è sempre vantata sono un mito e che la realtà è ben diversa. Forse ora smetteranno di dare lezioni sui presunti conflitti di interesse altrui e cominceranno ad occuparsi del proprio, fino ad oggi rimasto occulto e quindi davvero pericoloso. Se la classe dirigente dei Ds avesse avuto il coraggio di sbarazzarsi della cultura giustizialista a senso unico, la campagna mediatica di alcuni quotidiani contro di loro avrebbe potuto trovare un argine più convincente. Ai tempi di Tangentopoli, invece, la sinistra post comunista ha pensato di poter rimandare ancora una volta la fatica necessaria di fare sul serio i conti con il passato e poter imboccare una facile scorciatoia giudiziaria per conquistare il potere. La cultura giustizialista di Violante ha poi conquistato quasi totalmente i gruppi dirigenti dell’ex Pci. Oggi i nodi vengono al pettine e i Ds si ritrovano indifesi di fronte alla delusione dei propri elettori che hanno creduto al mito della loro diversità morale e all’attacco dei poteri forti di finanza e magistratura. Sapranno ora avere il coraggio della verità?».
Lei crede che questo «attacco dei poteri forti» sia portato avanti con l’ausilio della magistratura oppure che i giudici stiano semplicemente facendo il loro lavoro?
«Io registro le coincidenze, che non mi lasciano tranquillo. Nei casi specifici, poi, sarebbe bene che i reati finanziari fossero prevenuti dalle autorità di controllo, prima che intervenga la magistratura. Se no, che ci stanno a fare?».
Chi a sinistra sta uscendo vincitore da questa ondata di inchieste è Francesco Rutelli. E qualche mese fa fu proprio Arturo Parisi, quasi a mo’ di monito, a invocare la questione morale. Crede sia una coincidenza?
«No, non è una coincidenza. All’interno del centrosinistra si gioca una battaglia durissima senza esclusione di colpi proibiti. Tutto nasce dalla debolezza di un leader designato dai partiti, e, occorre ammetterlo, grazie soprattutto all’impegno organizzativo profuso dai Ds durante le primarie. Un candidato, tuttavia, che non rinuncia al suo disegno di azzerare i partiti e di imporre una sua leadership peronista».
Questa estate da più parti si diceva che dietro la scalata di Rcs ci fosse Silvio Berlusconi. Le intercettazioni di questi giorni stanno facendo emergere tutto un altro scenario.
«Perfino Giuseppe Turani, mai tenero con Berlusconi, ha escluso nel suo ultimo libro l’ipotesi che dietro Ricucci ci fosse il premier. Si tratta di un altro caso lampante della scientifica opera di demonizzazione del presidente del Consiglio da parte della sinistra».
Fazio ha confidato di essere stato costretto a dimettersi per aver toccato gli interessi dei poteri forti. Qual è il suo giudizio sull’ex governatore?
«Una persona per bene che ha perso la sua partita. Il vero problema, tuttavia, è quello delle regole e noi le abbiamo cambiate. Più in generale, concordo con quanto ha detto Benedetto Della Vedova: occorre una nuova stagione di riforme liberali che elimini il più possibile la contiguità tra economia e politica.
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