Si sa che il fumo fa male: nessun risarcimento per i danni da sigaretta

Gian Marco Chiocci

da Roma

Vanno tutte in fumo le cause per danni procurati da sigari e sigarette. Più sentenze ormai portano l’Italia in controtendenza rispetto ad analoghe sentenze nel resto del mondo. L’ultimo pronunciamento è questo, del tribunale civile di Brescia: che le sigarette facciano male è un dato acquisito da tempo nella conoscenza comune, sancito da ricerche scientifiche, impresso sul fronte-retro dei pacchetti al dettaglio. Ergo, le società produttrici non sono tenute a risarcire i danni e chi fa causa rischia pure di dover pagare le spese legali.
La vicenda inizia nel marzo 2001, quando gli eredi di G.Z. presentano una domanda di risarcimento per le conseguenze del tabagismo. Quattro anni più tardi, il verdetto ribalta prassi e luoghi comuni affermando il principio della libera scelta del fumatore. O meglio, riafferma il seguente principio già espresso in sede giudicante nelle sentenze «Tonutto» e «Basile» del maggio 2005 e nella «Rubinacci» datata dicembre 2004: il produttore di una sostanza che non è di per sé pericolosa, ma lo diventa soltanto a causa dell’uso che se ne fa, non è tenuto ad informare il consumatore. Quindi non era tenuto a farlo neppure prima dell’entrata in vigore della legge 428 del 1990 che impone l’obbligo di avvertenza sui pacchetti di sigarette. Nessun dovere ulteriore, dunque. Soprattutto quando il pericolo derivante dall’uso della sostanza rientra nel patrimonio di conoscenze di un cittadino medio.
Ma c’è di più: una recente sentenza del tribunale di Roma, oltre ad aver rigettato la domanda di risarcimento presentata dal signor P.G., per la prima volta lo ha condannato al pagamento di 29.950 euro di spese legali in favore della società citata in giudizio. Un pronunciamento destinato a fare storia, basato sul convincimento che non ci sia alcun nesso causale tra l’eventuale mancanza di informazione nel periodo precedente alla legge 428/1990 e la scelta del signor P.G. di continuare a fumare. Quanto poi al pronunciamento del tribunale civile di Brescia ci si addentra anche nelle risultanze di specifiche ricerche mediche e scientifiche in materia di fumo, droghe e relative stati di dipendenza. Ebbene, secondo gli studi menzionati in sentenza, gli effetti prodotti dalla nicotina non posso essere paragonati a quelli prodotti dalle droghe. E comunque tali effetti non rendono i fumatori incapaci di smettere di fumare.
Come se non bastasse il tribunale lombardo lascia zero spiragli anche per l’applicabilità dell’articolo 2050 del codice civile («chiunque cagiona danno ad altri nello svolgimento di un’attività pericolosa, per sua natura o per natura dei mezzi adoperati, è tenuto al risarcimento, se non prova di avere adottato tutte le misure idonee a evitare il danno»). Secondo i giudici, la produzione e la vendita delle sigarette non può essere considerata un’attività pericolosa. Inoltre, la commercializzazione dei prodotti da fumo è sempre stata un’attività lecita.
Sul punto, la giurisprudenza non è univoca: una precedente sentenza di appello – impugnata in Cassazione dalla Bat Italia (British American Tabacco) - aveva infatti condannato un produttore a risarcire gli eredi di una persona deceduta, configurando la produzione e la vendita delle sigarette come un’attività di per sé pericolosa, dunque riconducibile alla sfera di applicabilità dell’articolo 2050 del codice civile. Era la prima volta in Italia che un tribunale accordava un risarcimento per danni da fumo.

Anche in quel caso la sentenza (per la quale bisognerà attendere la Suprema Corte) sembrava destinata a far storia quand’invece la giurisprudenza successiva ha preso un’altra strada. D’ora in avanti, dunque, prima di far causa sarà meglio pensarci due volte: non solo è probabile vedersi dar torto dai tribunali, ma si rischia pure di dover pagare pegno. Tanto fumo, niente arrosto.

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