Si sveglia l’Università: ora si «crea» anche in ateneo

Per orientarsi nella galassia delle scuole di scrittura creativa italiane servirebbe una bussola. Uno strumento per capire dove, come, chi, cosa, quando. Luca Lorenzetti è un consulente della comunicazione, tre anni fa ha pubblicato Un posto per scrivere, un'indagine sul fenomeno della scrittura creativa in Italia. Da lì è nato un sito internet (www.scritturacreativa.com) «per tenere aggiornati costantemente i dati raccolti nel libro, per non farli invecchiare» spiega Lorenzetti che oltre a raccogliere informazioni sull'offerta di corsi e lezioni ha intervistato anche gli scrittori che hanno dato vita a esperienze di scuole. Alessandro Baricco, Giuseppe Pontiggia, Raffaele Crovi, Dacia Maraini, Lidia Ravera.
La domanda è impegnativa. È davvero possibile insegnare a scrivere?
«È possibile. Alla fine bisogna vedere, però, quanto l'allievo riesce ad apprendere. Ci sono moltissimi parametri da considerare. Il tipo di corso, la struttura, il docente. È necessario fare dei distinguo tra proposte didattiche spesso molto differenti tra loro».
Quali sono gli esempi italiani?
«Intanto i corsi all'interno delle facoltà universitarie, lettere o scienze della comunicazione. Poi ci sono i cicli di conferenze tenuti da scrittori. Quindi i corsi più leggeri: 40-50 ore in totale. Un appuntamento settimanale per tre o quattro mesi. Questa tipologia fotografa l'80 per cento dell'intero panorama italiano. Esistono addirittura cicli di lezioni on line».
Si tratta solo di lezioni teoriche?
«No. Alcuni corsi, i più interessanti e utili, sono articolati in forma di laboratorio. In questo modo si può condividere la propria scrittura con altre persone che hanno gli stessi interessi e la medesima passione. Interlocutori e lettori attendibili, più della cerchia ristretta dei famigliari. Si impara a mettersi in gioco, si entra a far parte di una comunità e si assapora la lettura in modo più consapevole».
Esistono, però, anche scuole più serie.
«Corsi con centinaia di ore di lezione, articolati nell'arco di un anno o più. L'esempio che viene in mente è la Holden, di Torino. Guai, però, a definirli una scuola di scrittura creativa. Loro insegnano tecniche di narrazione, le più disparate, legate anche a cinema, pubblicità e arte».
Vista l'offerta la domanda deve essere ampia. È così?
«Esiste questo fenomeno delle scuole di scrittura creativa perché c'è un mercato. Il pubblico di paganti è tale da giustificare la presenza di così tante offerte. Il numero non è quantificabile, ma da sei anni la richiesta è incessante».


Lei consiglierebbe un corso di scrittura creativa?
«Per chi ha una passione bruciante, sì. Anche un corso non troppo intensivo può far bene, a patto che sia serio. È un’esperienza che aiuta a mettersi in gioco, costringe a scrivere per gli altri e insegna una disciplina».

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