Soldati italiani in prima linea ma soprattutto per ricostruire

Oltre mille i militari impegnati con la Nato. L’intervento in Afghanistan contro talebani e terroristi fu avallato dall’Onu

Fausto Biloslavo

L’Italia in Afghanistan è in prima linea: al momento sono oltre mille i nostri militari impegnati nel Paese o in operazioni collegate alla sua pacificazione. A differenza dell’Irak, l’intervento armato in Afghanistan contro i fondamentalisti talebani e i santuari di al Qaida, dopo l’attacco agli Usa dell’11 settembre, è stato avallato dall’Onu.
Lo scorso maggio abbiamo lasciato a Kabul il comando della International security assistance force (Isaf), la missione della Nato che dal 2002 ha garantito la nascita delle nuove istituzioni afghane e ora si sta espandendo a sud nelle zone «calde» della guerriglia. Attualmente nella capitale afghana è dispiegato Italfor XIII, un contingente di circa 500 uomini inserito nel dispositivo di sicurezza della capitale e delle istituzioni afghane con compiti principalmente di pattugliamento e sorveglianza. Negli ultimi due anni, le unità Cimic italiane di cooperazione civile-militare hanno ristrutturato 16 scuole e due orfanotrofi, oltre a consegnare 1600 banchi, 30mila penne e 26mila quaderni. I soldati italiani hanno realizzato 29 pozzi e l’ufficiale veterinario di Italfor ha trattato 3500 capi di bestiame. Per non parlare dei 3000 chilogrammi di alimenti, 7200 paia di scarpe, 19200 capi di vestiario per bambini e 6300 giocattoli distribuiti agli afghani. All’aeroporto della capitale, dove gli alleati attendono l’arrivo di sei caccia Amx italiani, sono al momento dispiegati tre elicotteri, con una cinquantina di militari.
Il secondo «fronte» della missione militare italiana è a Herat, il capoluogo occidentale dell’Afghanistan vicino al confine con l’Iran. Con il generale di brigata Danilo Errico comandiamo l’intera zona ovest sotto competenza della Nato, compresi i quattro Prt delle province di Herat, Baghdis, Farah e Ghor. «Il Provincial reconstruction team (Prt) è un concetto rivoluzionario per la Nato ­ ha spiegato il generale Errico ­. Dal punto di vista militare il profilo è più basso, mentre la ricostruzione è il piatto forte. Un metodo morbido per indicare agli afghani la strada da percorrere». Al Prt di Herat sono impegnati circa 190 militari e un gruppo di esperti civili. I militari sono solo all’inizio, ma hanno speso quasi un milione di dollari per gli interventi più diversi. Dalla fornitura di mezzi, uniformi e apparati radio alla polizia afghana, a 150 cassonetti per rifiuti. Il 14 dicembre scorso è stato inaugurato il ponte di Saweh, costruito con soli 54mila dollari e l’aiuto di unità del genio. Le priorità nel campo civile sono l’istruzione e la sanità. Le tante scuole costruite dagli italiani costano una media di 180mila dollari e ospitano a turno 1.400 alunni. Presto saranno donate due ambulanze all’ospedale di Herat, l’unico della zona, ma accanto ai fondi della Difesa, il ministero degli Esteri investirà cinque milioni di euro, nella zona di competenza italiana. A Herat altri 180 uomini, in gran parte dell’Aeronautica, fanno parte della Forward support base (Fsb), la base avanzata costruita dagli italiani, che ospita circa 800 spagnoli della Forza di reazione rapida, pronti a intervenire in caso di necessità, sotto nostro comando, in tutta la zona ovest.


La partecipazione più ostica, per la sinistra pacifista del nuovo governo, è quella navale nella missione Enduring Freedom lanciata dagli Usa. Si tratta di altri 250 uomini fra gli ufficiali di stanza a Tampa, il comando centrale in Florida, e l’equipaggio di un’unità navale che partecipa alla lotta al terrorismo e alla pirateria nel Golfo Persico.

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