di Cristiano Gatti
Non sia mai che la Spagna condanni un dopato. Nella terra promessa dei trafficoni, il dopato non va toccato nemmeno con un fiore. Così, secondo la più scontata delle previsioni, anche Alberto Contador esce lindo e pulito dalla storiaccia che l'ha visto cadere ai controlli antidoping dell'ultimo Tour (vinto). Passa trionfalmente la sua leggiadra versione: colpa di una bistecca contaminata. Secondo la feroce e implacabile giustizia sportiva del suo Paese, la quantità di clenbuterolo trovata nel sangue non è sufficiente per punirlo. Assoluzione immediata: già oggi, il ripescato sarà in gara al Giro dell'Algarve. Di più: in maggio ce lo ritroveremo al Giro.
La disinvoltura e la strafottenza con cui la Spagna continua a sorvolare sulla piaga della sport mondiale, che proprio in casa sua ha le centrali più criminali, lascia incantati. Del resto, siamo pur sempre nella nazione dove il capo del governo in prima persona, l'illuminato e integerrimo Zapatero, interviene alla vigilia della sentenza per dire chiaramente che «non ci sono gli elementi per condannare Contador». Riconosciamolo, alla fine: in questo Eden, un atleta che decide di non doparsi è veramente un cretino. E probabilmente sarebbero tentati di squalificarlo proprio per questo.
Davanti all'ennesima assoluzione, che di fatto vede la Spagna gareggiare con regole diverse rispetto agli altri Paesi, molto più duri nella lotta alla farmacia tossica, la parola passa ora all'Uci (il governo mondiale del ciclismo) e alla Wada, l'organismo sovranazionale che specificamente combatte il doping. Le due istituzioni, per la verità la prima al traino della seconda, presenteranno immediato ricorso al Tas (Tribunale degli arbitrati sportivi), cioè un tribunale internazionale, per ottenere giustizia vera e trattare Contador come tutti gli altri imputati di doping. L'obiettivo è la squalifica di due anni. Ma siamo alle solite: il nuovo procedimento richiede i suoi tempi tecnici.
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