La soluzione è ricollocare

La riforma del lavoro appare un’occasione mancata: l’impianto disegnato dal ministro Elsa Fornero, dopo la mediazione con la sinistra parlamentare e sindacale, non riesce ad agire in profondità sulla modifica dell’articolo 18 dello Statuto dei lavoratori e non ha puntato con decisione sulle politiche attive come l’outplacement. Il risultato rischia di essere paradossale: in linea teorica l’uscita dal mondo del lavoro dovrebbe infatti diventare più flessibile ma, visto il dettato del disegno di legge, ci sono meno possibilità di creare nuovo impiego e facilitare il ricollocamento di quanti hanno perso il lavoro.
Senza contare che l’Assicurazione sociale per l’impiego (la neonata «Aspi») ha una durata inferiore rispetto ai vecchi sussidi passivi ma al contempo denuncia difetti similari: cioè non ha alcuna vera finalizzazione. Se a questo si aggiunge l’aggravio degli oneri sociali sui contratti flessibili (oltre alla permanenza di alcune «strozzature» nell’apprendistato), il risultato è un mercato del lavoro ancora ingessato, dove il nostro sistema produttivo fatica a gestire il rapporto con il dipendente e a investire sulla ripresa.In sostanza, le imprese del made in Italy sono spesso svantaggiate rispetto alle concorrenti europee e anche dal punto di vista della formazione si è raggiunto un risultato inferiore rispetto a quanto sarebbe stato possibile sviluppando la proposta Treu-Cazzola o quella del senatore Ichino.

Da qui l’idea del Giornale di riproporre il dibattito sull’outplacement, nella speranza che questo possa diventare davvero lo strumento principe, insieme all’apprendistato, per contrastare una disoccupazione che, soprattutto tra i giovani, ha raggiunto livelli inaccettabili.

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