Sorpresa, anche il critico letterario del «Corsera» legge Dan Brown e Faletti

Paccagnini interviene nella polemica sulle pagine culturali e ribadisce: poca letteratura, molto gossip e troppa ignoranza. Ma non demonizziamo la Tamaro e gli Harmony

Caro direttore,
desidererei intervenire a proposito del lungo intervento di Caterina Soffici sulla presenza della cultura nelle pagine dei quotidiani sollecitato dal mio articolo su Vita e Pensiero (n. 2, 2006). Dico dunque che, per quanto paradossale possa sembrare ai lettori del Giornale che hanno letto Caterina Soffici muovermi degli appunti, mi è sin troppo facile concordare con quanto ella sostanzialmente scrive: col paradosso che risiede nell’attribuzione di concetti che non mi appartengono. Certo, c’è il punto iniziale della denuncia che troppo spesso il giornalismo privilegia gossip, falsi scoop, dibattiti-chiacchiera, pseudo-opinionismo; ove però la mia rivendicazione era per una maggior considerazione per una letteratura sempre più marginalizzata: non «al posto di», ma a fianco «della cultura nelle sue varie declinazioni antropologiche» (così scrivevo).
Insomma, la richiesta d’uno spazio compartecipativo e per nulla esclusivo, non appartenendomi - se non altro in quanto storico dei mutamenti giornalistici - la nostalgia di quella «Terza pagina che come piacerebbe a Paccagnini è morta». Certo che mi sta bene la cronaca culturale, a proposito della quale Caterina Soffici richiama tra gli altri Dan Brown; tra l’altro provocandomi il sorriso leggendo d’un ipotetico Paccagnini che «si tura il naso alla sua vista e volta la testa al passaggio d’un lettore col Codice da Vinci sottobraccio». Beh, facessi così, sarei davvero una contraddictio in terminis ambulante, essendo lettore non solo di tutti quei testi che mi rinfaccia, a partire dal Dan Brown della Verità del ghiaccio (poca cosa), del Codice da Vinci (definito giustamente dalla Soffici «una patacca»), di Angeli e demoni (il meglio costruito, purché non si legga l’ultimo rovinoso capitolo dalla pastrocchiata agnitiva all’americana che finirà anche nel Codice), ma anche di molti altri, si tratti di Baricco o Faletti o Maria Venturi o thriller vari (tra l’altro, appena uscito da un teso Dennis Lehane son passato a un incartato e scombiccherato David Baldacci, inframmezzato dall’ultimo svelto, teso Camilleri, scontato come giallo - l’assassino -, ma ben lavorato come rapporti tra personaggi, con finale in levare).
Del resto, mai smettere di conoscere quanto sta accadendo, considerando che è tra fumetti, fanzine, sms, web, lacerti culturali scolastici o da wikipedia e musica che pesca la giovane narrativa (si legga l’introduzione all’antologia Coda curata da Mozzi-Ballestra per Transeuropa). Due esempi? L’Arduino che ha Pazienza quale maggior narratore; e il Pincio smontabile nei suoi giochetti solo se conosci la Goa Trance e gli Infected Mushroom. Anche perché, per paradossale che suoni, persino un Pippo Franco anni Settanta può suggerirti come spiegare concetti letterari a studenti digiuni di latino.
Perché allora dovrei dir no a Dan Brown o fenomeni simili tipo Va dove ti porta il cuore (ma anche ad Harmony)? Tanto più che implicano più aspetti. Ad esempio, nel caso di Brown e al di là della polemica con Chiesa e Opus Dei: le diverse motivazioni del successo americano e italiano; come mai tutto ciò oggi e non ieri, quando era Saramago con la vita di Gesù a demandare alla Maddalena l’iniziazione sessuale di Cristo; e perché oggi sì a Tolkien da parte di tutti, mentre ieri ti manganellavano come fascista se eri preso a leggerlo; e perché oggi sì Tolkien e Lewis e ieri assai meno Ende; e perché oggi Il codice dei quattro, i temi danteschi (anche in musica: Dante XXI dei Sepultura versione metal), sette ed eretici... Ovviamente all’insegna di quella correttezza giornalistica che, prima di affrontare tali dibattiti, prima informi almeno i lettori del contenuto del libro di cui si discute: ciò che non è accaduto lo scorso anno col tiramolla Pincio-Piperno romanzieri di sinistra-destra.
Quanto infine ai fondamentali. Certo che penso anche a quelli che Caterina Soffici chiama «i classici, il passato culturale, gli autori “seri”». Ma per fondamentali intendo anche altro: la conoscenza e la correttezza quali basi da cui non posson prescindere redattori e collaboratori delle pagine culturali. Quel possesso che impedisca di confondere la fiaba del Pifferaio Magico con la vicenda di Sodoma e Gomorra. Di recensire concerto e bis di Ughi quando invece è saltato al primo minuto. Di far parlare a un convegno uno studioso nel frattempo deceduto. Di dare come prima edizione moderna un testo che possiedi in edizione di qualche anno prima. Di presentare come novità critica nel 2005 quanto già scritto nel gennaio-febbraio 1965.

Che son poi le basi per cui, allora sì, l’attualità culturale diviene oggetto di notizia e di informazione: attenta anche alle fasce culturalmente meno agguerrite, senza con ciò scadere in perdita di spessore critico e temporale.
*critico letterario
del «Corriere della Sera»

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