SORPRESA: LA CRUSCA PREMIA MIKE

Diavolo d'un Mike Bongiorno: non solo il suo ultimo quiz, Il migliore (giovedì su Retequattro, ore 21) è l'unico tra i tanti in circolazione dove il conduttore si possa concedere il lusso di rivolgere qua e là ai concorrenti domande sulla propria carriera, privilegio riservato a chi ha attraversato mezzo secolo di televisione italiana. Non solo continua a rinfrescare il suo repertorio di gaffes, qui pro quo e svagate impuntature (nell'ultima puntata, ad esempio, non si capacitava del fatto che il seno perfetto fosse quello che entra in una coppa di champagne, e ha cominciato a chiedere al notaio in studio, ai concorrenti e forse anche ai cameramen come andasse allora valutato un seno a pera). Passi per tutto questo, a cui in fondo ci ha abituato. Ma l'altra sera ha voluto darci una notizia assai più sorprendente: l'Accademia della Crusca gli ha conferito un riconoscimento per aver diffuso l'uso della lingua italiana attraverso il mezzo televisivo. Prima che il lettore possa avere un sobbalzo, va dato atto a Mike di aver comunicato la notizia con encomiabile ironia, condendola con opportuno stupore: «Devono aver preso un abbaglio, io credevo di aver contribuito a guastare la lingua italiana». Eppure il riconoscimento della Crusca non è poi così peregrino. Va solo inserito storicamente, come si suol dire oggi, nel periodo in cui Mike Bongiorno - grazie a quiz popolarissimi come Lascia o raddoppia? - era a tutti gli effetti un punto di riferimento per un'Italia che alla fine degli anni '50 contava due milioni di analfabeti e in cui l'uso dei dialetti era preponderante ad ogni latitudine. L'episodio accennato nel corso de Il migliore ci spinge da un lato a ricordare che tra i meriti culturali ascrivibili al piccolo schermo, a ben vedere, resta incontestabile soltanto l'unificazione del linguaggio degli italiani, l'aver dato loro un comune codice linguistico indipendente dalle innumerevoli matrici dialettali. Per altri versi, siccome la nostra televisione ha poi provveduto a distruggere quel linguaggio così faticosamente unificato, fino a diffondere un imbarbarimento linguistico e la progressiva perdita di consapevolezza del senso delle parole e dell'importanza di usarle in modo appropriato, non si vede perché non provveda ora a una nuova «riunificazione linguistica».

Cosa ci vuole, nel mare di trasmissioni inutili, a trovare uno spazio nei palinsesti per proporre in chiave moderna qualcosa che prenda spunto dal vecchio Non è mai troppo tardi del maestro Alberto Manzi o dal più recente Parola mia di Luciano Rispoli? I tempi paiono davvero maturi per un «mea culpa» della nostra tivù e per il varo di una nuova e lodevole operazione culturale. Benedetta, magari, proprio dall'Accademia della Crusca.

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