Il sospetto: dietro il caos libico gli interessi dei petrolieri Usa

È triste vedere quanta gente muore in Libia senza che si sappia (e senza che forse loro stessi sappiano) per che cosa si stia realmente combattendo. Purtroppo in Libia influisce anche molto l’esasperazione delle differenze etniche, e non viene tralasciata occasione per mettere in evidenza ciò che divide gli uni dagli altri.
Cronologicamente la rivolta è scoppiata dopo quella in Tunisia e quella in Egitto ma, fatto salvo il principio che spesso tra Paesi vicini può esserci un'attrazione reciproca sia nei processi virtuosi che in quelli negativi, non ho elementi per affermare con certezza che ciò che accade in Libia sia la stessa cosa di ciò che è accaduto in Egitto.
Sembra paradossale che veniamo presi alla sprovvista da questi avvenimenti pur vivendo in un mondo dove, molto più che in passato, siamo raggiunti ogni giorno da una mole impressionante di dati e notizie. Forse perché non andiamo mai ad approfondire i fenomeni, ma restiamo all’impressione immediata che una notizia ci suscita. Sommiamo i fatti uno dopo l’altro, ma non facciamo mai una comparazione.
Anche la reazione degli Stati Uniti a questa crisi ha suscitato qualche critica, in quanto gli Usa sono lontani dal Mediterraneo: ed è vero che quando si vede un problema da lontano a volte è difficile comprenderlo in tutte le sue sfaccettature, ma sotto un altro aspetto vedere le cose da lontano ti dà la possibilità di vedere ciò che è essenziale senza perderti negli aspetti superficiali. Quindi prima di dire che gli americani sbagliano su questo tema io ci penserei due volte.
Anni fa dissi che sul problema libico influiva uno scontro interno alle compagnie petrolifere americane; non che io abbia mai avuto le prove matematiche, ma un sospetto che sia un elemento che influisce ancora sulla situazione è più che legittimo.
L'Italia è stata molte volte accusata - e a torto - di avere un atteggiamento troppo indulgente verso Gheddafi. Certamente Gheddafi ha idee e caratteristiche diverse da noi, ma non possiamo pretendere che tutto il mondo sia allineato ai nostri modelli.
Noi abbiamo sempre voluto dare l'impressione ai libici, perché rispondeva al vero, che rispettavamo le loro caratteristiche particolari, anche quando emergeva il loro orgoglio contro l'epoca del colonialismo italiano. Allora i libici ci vedevano come avversari ma non come nemici e questa è forse la differenza con il momento attuale.


La Libia è un Paese con il quale abbiamo avuto necessità di trovare linee di concordia, piuttosto che di accentuare divisioni. E anche oggi dobbiamo cercare con loro le cose su cui si può convergere, altrimenti rischiamo di pagarne le spese.
*Per gentile concessione del mensile «30Giorni». L’Editoriale è pubblicato sul n. 1/2 della rivista

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