Cultura e Spettacoli

2014, fuga dai «social» Il cinema esalta gli eroi soli (e positivi)

2014, fuga dai «social» Il cinema esalta gli eroi soli (e positivi)

Quattro cammelli, un Labrador e il deserto. È tutto quello che serve alla nuova eroina dell'epica solitaria contemporanea, non più format per soli maschi intrepidi, dal successo di Gravity in poi, sci-fi dove lei, l'astronauta Sandra Bullock, fluttuava nel nulla dello spazio. Del resto, negli ultimi anni a fare da mattatori nel genere film-sopravvivenza sono stati soprattutto personaggi virili, alle prese con vaste praterie marine, come in Captain Phillips, dove Tom Hanks lottava contro l'Oceano e i pirati, o come in All is Lost. Tutto è perduto di J. C. Chandor, che vede unico interprete Robert Redford, disperso nell'Oceano Indiano, a tu per tu con la sua vela. E che dire dell'isolamento claustrofobico di Buried. Sepolto di Rodrigo Cortés, dove Ryan Reynolds impersona un camionista, che si sveglia in una bara, sepolto vivo dai terroristi iracheni, assaltatori del suo convoglio? Le storie di survival, dove necessita destrezza per salvarsi la pelle, aumentano, quanto più avanza la violenza dello spirito del tempo. Che riguarda uomini e donne. Perciò stavolta è l'attrice emergente Mia Wasikowska a cercare la libertà dal conosciuto - una città arida e rapporti umani abbastanza miserabili -, impersonando l'australiana Robyn Davidson nel road-movie Tracks. Attraverso il deserto (nei cinema da mercoledì).Solo che la strada, nel drammatico film di John Curran, non c'è. C'è, invece, una spianata di arida sabbia e l'ego ferito, ma energico d'una ragazza affascinata dal mistero della natura selvaggia. Così Tracks diventa la risposta femminile a Into the Wild di Sean Penn, basato sulla storia vera di Christopher McCandless, che volendo sottrarsi alla società capitalista, dopo la laurea abbandona tutto per finire nell'isolamento dell'Alaska estremo. Immergersi nella vita aborigena originaria, via dai riti idioti del consumo di massa; liberarsi da comodità, pagate a caro prezzo, Robyn Davidson l'ha desiderato e l'ha fatto realmente nel 1977. Partendo a piedi da Alice Springs, remota cittadina dell'Australia, dove la venticinquenne impara ad addestrare cammelli selvatici (sputano e mordono, se non addomesticati) per conto dell'austriaco Kurt Posel e del mite Sallay Mahomet, che la doterà di tre quadrupedi per il viaggio: Bubs, Dookie e Zuleika, quindi Golia, partorito da Zuleika lungo il percorso. Prima d'intraprendere il suo trekking in solitaria - nove mesi di viaggio per 2.700 chilometri fino alla costa occidentale australiana -, Robyn incontra il fotografo del National Geographic Rick Smolan (Adam Driver), che la convince a firmare un accordo: la rivista finanzierà il viaggio, in cambio del reportage fotografico di lui. A marzo del 1978, Robyn appare sulla copertina del National Geographic, con la cronaca del viaggio scritta di suo pugno e gli strepitosi scatti di Smolan. Quel numero suscita l'interesse planetario dei lettori e Robyn decide di scrivere Orme. Una donna e quattro cammelli nel deserto australiano(Feltrinelli), libro autobiografico che diventa best-seller internazionale e, soprattutto, materiale appetito da molti produttori. Tra i quali, il produttore premio Oscar Emil Sherman de Il discorso del Re. «Orme è l'epopea australiana per eccellenza, al punto che si studiava a scuola e, secondo me, resta molto attuale. Come produttore australiano, mi sembrava importante raccontarla», spiega Sherman, che ha subito pensato al conterraneo John Curran. Regista di immagini, bravo nei ritratti di donne forti, Curran da ragazzo era il tipo che girava il paese, con zaino e sacco a pelo. Un altro amante del selvatico trip, in contrasto con la tendenza attuale a esserci sempre, sulla scena che conta. «Il viaggio di Robyn racconta un'esperienza in cui mi riconosco. L'idea di fare qualcosa di estremo per uscire da una situazione di stallo. In fondo, l'avevo fatto anch'io, alla sua età», spiega Curran. Però Tracks, al di là d'uno spettacolare film di viaggio, è anche un'istantanea dei ribelli anni Settanta, devoti al trip asociale, alla rivolta anti-tinello di mamma e papà. E quanto più prepotenti si affermano, nel nostro quotidiano, strumenti elettronici di controllo e tracciabilità personali, tanto più i produttori s'industriano a scovare storie vere di appartamento volontario, via da Facebook e da Twitter, fuori dalle prigioni del comfort. Perché le asperità sono vitali. Tengono in circolo l'adrenalina. Ma la voglia di coincidere con l'ordine naturale delle cose, soli con le dune o con i ghiacci, non è di oggi: la vita è un viaggio attraverso un deserto.

Tale concetto, universale fino alla banalità, non avrebbe potuto sopravvivere se non fosse biologicamente vero.

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