Alba Rohrwacher sul filo dell'horror

È un cupo dramma famigliare «Hungry Hearts» di Saverio Costanzo

Alba Rohrwacher sul filo dell'horror

Stavolta Alba Rohrwacher (Coppa Volpi a Venezia come migliore interprete femminile), mette pelle e ossa a disposizione del regista e compagno di vita Saverio Costanzo, che la pedina col grandangolo nel drammatico film Hungry Hearts . Un ruolo disturbante, il suo, che proviene dal romanzo di Marco Franzoso Il bambino indaco (Einaudi), dove lei è Mina, giovane madre patologica, pronta a far morire di fame il figlio neonato, in nome di un'ideale di purezza completamente assurdo. Né può nulla il marito di lei (Adam Driver, star HBO e attore da cinema indie), affettivamente bloccato dentro l'angusto appartamento newyorchese dove vive la famigliola infelice. Tra lassativi vegetali e pappine vegane, il pargolo risulta talmente denutrito che, in uno scatto di decisionismo, il padre lo rapirà per sistemarlo dalla nonna, brava a farlo crescere di peso, alimentandolo adeguatamente. Però la Mina vagante non ci sta, a vedersi soffiare il bambino da persone normali. E finirà male, con la madre del marito che le spara. Si vomita (la scena iniziale non va vista, se delicati di stomaco), si sta male e ci si chiude molto spesso al bagno, in questo dramma esistenziale musicato da Nicola Piovani e prodotto da Mario Gianani, marito del ministro Marianna Madia, e da Lorenzo Mieli, figlio di Paolo, col contributo economico del Mibact, della Regione Lazio e del Biscottificio di Verona. «Saverio era operatore di macchina, quindi sempre a stretto contatto con noi, nella casa. La nostra sembrava una continua danza a tre, un ballo nel quale Adam ed io eravamo molto liberi», racconta a fil di voce la Rohrwacher, quasi trasparente accanto al roccioso Costanzo, che alla Casa del Cinema la sfotticchia.

«Sembravano anche troppo vicini, lei e Adam», arrossisce il regista, che ha fatto di necessità virtù: tra spazi soffocanti - dal cinema due camere e cucina a quello due camere e WC - e botole aggettanti sul solito orticello urbano nella Grande Mela, un senso d'oppressione avanza in Super 16. «A dettare le nostre scelte è stata la mancanza di mezzi.

Giravamo in una casa piccola e il grandangolo era la soluzione migliore per allargare lo spazio. È vero che in alcuni momenti dà al film un aspetto horror», spiega Costanzo, qui pure sceneggiatore. «Bisogna voler bene al personaggio», esorta Alba. È una parola.

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