Ansie private, pubbliche virtù. Due Indro in un Montanelli

Il film di Samuele Rossi intreccia bene documenti storici e fiction. Con qualche lacuna tra le testimonianze...

Ansie private, pubbliche virtù. Due Indro in un Montanelli

La disillusione come metodo per conoscere i fatti. La scrittura come strumento di comunicazione con i lettori. Ma anche come arte. Fin dalle prime scene del film Indro. L'uomo che scriveva sull'acqua si capisce che a Montanelli la qualifica di giornalista stia stretta, nonostante egli stesso abbia sempre desiderato essere considerato tale: "Questo sono e questo voglio restare: soltanto un giornalista" (Indro Montanelli-Tiziana Abate, Soltanto un giornalista, Rizzoli). Invece le prime parole recitate dall'attore Roberto Herlitzka, chiamato a interpretare il vecchio Montanelli (il giovane ha invece il volto di Domenico Diele), sconfinano spesso nella letteratura. Si tratta di una Stanza, la rubrica del Corriere della Sera in cui Montanelli rispondeva ai lettori. È giustamente famosa: "So di avere scritto sull'acqua. Ma ciò non mi ha impedito di continuare a scrivere, impegnandomi tutto in quello che scrivo. E se lei trova o cerca qualcosa da invidiarmi, è solo questo che può trovare: la gioia di scrivere sempre le cose in cui, nel momento in cui le scrivo, credo, anche se non ne rimarrà nulla, come sicuramente avverrà". Ancora: "Perché si preoccupa tanto di non lasciare, di sé, nessuna impronta? Nessuno di noi, in questo mondo dell'effimero, ne lascerà. Nessuno di noi contemporanei passerà, come si suol dire, ai posteri per il semplice motivo che i posteri sono una categoria scomparsa: basta vedere che razza di mondo ci apprestiamo a lasciargli".

Montanelli, per quello che lo riguarda, aveva torto. L'impronta che ha lasciato è indelebile come dimostra il film di Samuele Rossi (prodotto da Echivisivi e Alkermes in collaborazione con Sky Arte Hd, in onda su Sky Arte Hd il 22 luglio, anniversario della morte). Raccontare la vita di Montanelli in circa cinquanta minuti, come previsto dal format, è un'impresa. Si parte dagli anni Venti con Montanelli, nato nel 1909, fascista convinto. Si arriva alla morte, avvenuta il 22 luglio 2001, poche settimane prima dell'attentato alle Torri Gemelle. In mezzo c'è un intero secolo: la delusione per il Regime, reportage storici (la Guerra di Spagna, la Finlandia, Budapest...), il grande successo nel dopoguerra, la condanna del movimentismo anni Sessanta, la fondazione del quotidiano che state leggendo, l'attentato a opera delle Brigate rosse, Mani pulite, la rottura con Silvio Berlusconi, l'avventura finita presto e male della Voce, il ritorno in via Solferino. Il film, rapido ma non sbrigativo, è moderno nell'alternare lavoro d'archivio e fiction, affidata ai due attori già ricordati, bravi nel ricreare il personaggio, in particolare attraverso la voce. Sono raccolti i ricordi di Ferruccio De Bortoli, Paolo Mieli e Fedele Confalonieri. Intervengono poi Marco Travaglio, Beppe Severgnini e Tiziana Abate, che seguirono Montanelli alla Voce; Alberto Malvolti (presidente della Fondazione Montanelli); i biografi Sandro Gerbi, Raffaele Liucci e Salvatore Merlo; gli scrittori Paolo Di Paolo e Nicola Lagioia; l'ex brigatista Franco Bonisoli che organizzò l'attentato al direttore nel 1977. Ma le testimonianze di chi fece con lui, ogni giorno per decenni, il Giornale o condivise con Indro attività editoriali di grande impatto avrebbero meritato maggior spazio. Senza nulla togliere ai commentatori citati, davvero non si poteva rendere più completo il parterre?

Conclusa la visione, resta il desiderio di saperne di più, nonostante Montanelli sia così conosciuto: segno che il regista ha toccato le corde giuste. Ovviamente non può esserci tutto. Alcune zone incerte della biografia sono trascurate, senz'altro per la difficoltà di riassumere tesi e antitesi: ad esempio l'anno "nascosto" (1944-1945) e il passaggio in Svizzera, argomento lungamente dibattuto. C'è un'altra lacuna da segnalare, almeno nel montaggio quasi definitivo che abbiamo potuto vedere, ed è la questione del titolo che il Corriere della Sera dedicò al Montanelli gambizzato dai terroristi: "I giornalisti nuovo bersaglio della violenza. Le Brigate Rosse rivendicano gli attentati". Per trovare il nome di Montanelli bisogna scorrere il sommario. Poi, va detto, a metà della prima pagina c'è un'intervista al giornalista ricoverato in ospedale firmata da Enzo Biagi. A molti, però, l'assenza del nome di Montanelli nella titolazione principale sembrò uno schiaffo: Indro era popolare, era un simbolo ed era stato una colonna del Corriere. L'esclusione fu interpretata come prova del tradimento della borghesia, sbilanciata a sinistra, che Montanelli aveva denunciato (tema toccato dal film).

Una parte importante di Indro. L'uomo che scriveva sull'acqua è dedicata all'uomo.

I brani tratti dai diari, in cui Montanelli descrive le crisi depressive e gli attacchi di panico di cui soffriva dall'età di sette anni, sono eccezionali: il narcisismo si rivela un argine all'incombente senso di disfatta, la fama acuisce la consapevolezza della vanità del tutto. Come si diceva all'inizio, la disillusione è un metodo di conoscenza. Anche di se stessi.

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