È un film che non lascia indifferenti, The Place di Paolo Genovese (dal 9 in sala con Medusa), presentato ieri a Roma in chiusura della Festa del Cinema. Accolta con moderato entusiasmo, quest'opera tra le più attese della stagione italiana indaga sulle origini del male ed è tratta dalla serie tv Usa The Booth at the End di Christopher Kubasick. Seguendo il filone dello scavo nell'anima, così fortunato nel caso del suo precedente Perfetti sconosciuti, il regista romano non costruisce un facsimile, ma cerca emozioni estreme. E parte dalla domanda: «che cosa saresti disposto a fare, pur di ottenere quanto desideri?». Per esempio: uccideresti un bambino, pur di salvare il tuo? Venderesti te stessa per diventare più bella?
A porre gli spinosi quesiti è un uomo al bar (Valerio Mastandrea), che non dorme mai e ha una grossa agenda come compagna. Lui ha un solo compito: esaudire i desideri dei poveracci che a lui ricorrono. «Si può fare», ripete a tutti. Però c'è un prezzo da pagare... E gli attori Sabrina Ferilli, Marco Giallini, Vittoria Puccini e Alessandro Borghi, tesi a rappresentare personaggi bisognosi di miracoli, aggiungono al film ulteriore spessore. «Sono gli altri che intellettualizzano il mio film. Io mi sono imbattuto in una serie tv americana che mi ha folgorato. Magari, c'è un filo rosso tra Perfetti sconosciuti e The Place: in entrambi i film non circolano persone felici», ha detto Genovese, sul palco con il cast e l'amministratore delegato di Medusa, Giampaolo Letta, per il quale «ci voleva coraggio a girare un film come questo, soprattutto considerando che si parla spesso di cinema italiano che ripete sempre gli stessi film». Certo, nonostante la sceneggiatura di ferro di Isabella Aguilar e Genovese stesso, il film presenta qualche macchinosità.
«Dopo il successo di Perfetti sconosciuti avevo la possibilità di raccontare ciò che volevo. E, per dirla con i fratelli Taviani, cerco di dare al pubblico non ciò che gli piace, ma ciò che non sa che potrebbe piacergli», scandisce l'autore, che tesse una trama in cui le storie s'intrecciano. Film corale, The Place è una fotografia del disincanto, il cui focus è il libero arbitrio. «Per me questo film è misterioso: difficile spiegarlo. Il mio personaggio, magari, non esiste: potrebbe essere una visione di Mastandrea», afferma Sabrina Ferilli. Quali difficoltà ha affrontato Genovese, nell'adattare una serie tv americana? «Dovevamo ridurre puntate da 12 minuti, creando una drammaturgia che ricordasse l'andamento d'un film con un centro», chiarisce il regista, che al suo film conferisce un'atmosfera teatrale e claustrofobica: tutto avviene all'interno di un bar, davanti a un tavolino. «Ho cercato l'empatia col dolore degli altri: tanto cattivo non riesco ad essere», scherza Mastandrea.
Né angelo, né diavolo, il suo Uomo al Bar costringe gli altri a guardarsi dentro e a giudicarsi.E, a proposito di giudizi, il film di Janus Metz Pedersen, Borg McEnroe, sulla sfida infinita tra i due assi del tennis, si è aggiudicato il «Premio del Pubblico BNL».
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