Nel romanzo utopico le cose vanno come il loro autore vorrebbe andassero, vedi, per antonomasia, l'Utopia di Thomas More. Nel romanzo distopico le cose vanno invece come il loro autore teme possano andare, vedi il profetico 1984 di George Orwell. Nel romanzo ucronico, infine, le cose vanno come, secondo il loro autore, sarebbero potute andare se non fossero andate come la Storia ci riferisce, a esempio in Garibaldi a Gettysburg di Pierfrancesco Prosperi. Nei primi due casi il tempo messo in scena è il futuro, che della Storia può largamente (sebbene non completamente) fare a meno, mentre nel terzo caso il tempo in questione, rivissuto e riadattato, è il passato, perché per modificare la Storia è indispensabile partire da lei.
Piano D del tedesco Simon Urban (Keller, pagg. 542, euro 19, traduzione di Roberta Gado), per quanto con i generi citati abbia un certo grado di parentela, una certa affinità formale e stilistica, e lo stesso gusto del mischiare le carte, non appartiene a nessuno dei tre: non vuole esortare, non vuole ammonire, non vuole correggere. Tutt'al più potremmo definirlo un romanzo discronico, anche se l'aritmia denotata dal cuore di questa narrazione è talmente lieve, plausibile, fisiologica da farsi alla lunga dimenticare dal lettore. E proprio in ciò risiede la forza e l'originalità della vicenda che, infatti, potrebbe apparire quasi cronaca, non letteratura.
L'aritmia di cui dicevamo riguarda il Muro di Berlino. Siamo nell'ottobre 2011 (peraltro l'anno di uscita del libro in Germania...) e qualcuno s'è messo in testa di riunificare la Germania. Del resto, che cosa sono, nel corso immane della Storia, i 22 anni scarsi che separano il presente della narrazione dal 9 novembre 1989, giorno del crollo ufficiale del Muro? Meno di un attimo, di un battito di ciglia, di un'aritmia cardiaca, appunto, passeggera e pressoché impercettibile. Si dà però il caso che la riunificazione, anche in Piano D considerata effettivamente avvenuta quando è davvero avvenuta, è durata ancor meno, soltanto pochi mesi. Poi Egon Krenz, il successore di Erich Honecker, ha rimesso in piedi la baracca, per frenare l'emorragia dei tanti, troppi compagni passati di là...
Che qualcuno si sia messo in testa di riunificare la Germania, lo scopriamo quando si è già messa in moto la macchina investigativa che vede coinvolta la Volkspolizei, con l'ausilio della polizia dei cugini dell'Ovest e con la solita indesiderata supervisione della Stasi. Anzi, quando le indagini sono in piena corsa fra le strade di una Berlino Est rese puzzolenti dall'olio di colza usato al posto della benzina e trafficate come quelle di Manhattan la vigilia di Natale.
Su che cosa s'indaga? Su uno strano omicidio: un ottantenne è stato impiccato a un gasdotto, uno di quei mostruosi serpentoni lunghi centinaia di chilometri che porgono su un piatto d'argento all'Occidente, previo congruo pagamento, il carburante con cui si alimenta il capitalismo e che proviene dai fratelli maggiori russi. Quando accorre sul posto, alla velocità da appesantito cinquantaseienne, il capitano Martin Wegener della Volkspolizei non ci mette molto a capire, come il medico legale e tutti gli altri, che il rituale dell'assassinio è quello tipico riservato dagli spioni di Stato ai loro traditori. Wegener, che sarà il nostro punto di riferimento, il nostro occhio e il nostro orecchio nell'intricata vicenda, è dunque di fronte al dilemma: indizi così palesi giocano contro o pro la Stasi?
Per intanto c'è da scoprire chi fosse veramente il morto. E il fatto che a Wegener, come avviene in molti polizieschi «made in Usa», sia affiancato, da chi di potere, un collega foresto che gli sta agli antipodi, il bello, atletico, motivatissimo e automunitissimo Richard Brendel, non aiuta molto. Fattene una ragione, vecchio Martin, è il messaggio lanciato al simpatico compagno (per quanto disilluso) piedipiatti, stanno per iniziare le consultazioni, e se il caso non viene risolto alla svelta, sono cazzi amarissimi per l'Est e per l'Ovest, non sarebbe un bel biglietto da visita. Consultazioni su che cosa? Ma tu guarda la combinazione: proprio sul grano che spetta a chi vende e a chi recapita il gas, offrendo ospitalità ai serpentoni sul proprio territorio. Dunque, abbiamo aperti due fronti, quello dello spionaggio con vista sul Politburo e quello dell'economia mondiale. Ma non basta. Entra in scena, una volta appurata la reale identità del vegliardo appeso come un salame, il terzo fronte, se possibile ancora più caldo degli altri: quello politico.
La questione è presto detta: alla richiusura del Muro sono seguiti gli anni detti della «Rianimazione» della Ddr. Rianimazione finanziaria e tecnologica (per esempio con telefoni cellulari che dall'altra parte si sognano), non certo in termini di qualità della vita. Per farla breve, trattasi di capitalismo comunista. Un ircocervo purtroppo non immaginario che in patria trova fieri oppositori, gente che non esita a far saltare in aria interi palazzi, per intenderci. Ma, come sempre, le azioni derivano dalle idee. Idee forti, coriacee come la Cortina di Ferro. La parola chiave è «Piano D», un progetto di rinascita del Paese all'insegna di quanto di meglio ha tratto dall'esperienza occidentale chi lo ha ideato. Ma il «Piano D» contiene un'altra chiave, il «posteritatismo», cioè un piano, appunto politico, volto al superamento sia del socialismo irrealizzato, sia del capitalismo insostenibile. Una sorta di Decreto Dignità moltiplicato per mille. Questa sì che è un'Utopia, altro che l'isoletta di Thomas More.
Simon
Urban fa rivivere un mondo che credevamo finito e, contemporaneamente, ci mostra quanto sia simile a quello in cui viviamo o crediamo di vivere. Non è utopia, non è distopia, non è ucronia. E se fosse semplicemente la realtà?- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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