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Così il nostro Dna ci ha resi migliori. Errore dopo errore

Dai faraoni a Paganini: un saggio spiega come i geni ci hanno modellato per il successo

Così il nostro Dna ci ha resi migliori. Errore dopo errore

Il Dna? Oggi lo si sente nominare sempre per questioni di cronaca nera, quando un sospettato è inchiodato per averne lasciato le tracce sul luogo del delitto o sulla vittima, come nel caso di Massimo Bossetti. Tuttavia ogni aspetto della nostra vita dipende dal Dna: se si è alti, se si è bassi, se si è intelligenti o più stupidi, se si è più o meno portati per avere una malattia, e perfino Niccolò Paganini deve ringraziare il suo Dna. Quest'ultimo esempio è citato da Sam Kean in un bellissimo saggio intitolato Il pollice del violista (Adelphi, pagg 456, euro 25,50): Paganini aveva un grande talento, ma era venuto al mondo anche con un'anomalia in grado di rendergli le dita estremamente flessibili, potendo perfino divaricare il dito mignolo a angolo retto, cosa per noi impossibile (provateci).

Paganini non ripete, ma neppure il Dna di Paganini di ripete. Se non altro non così facilmente. È proprio attraverso le anomalie, ossia le mutazioni casuali, che la storia della vita ha potuto portare avanti ciò che chiamiamo evoluzione, sommando le deviazioni genetiche, la loro ereditarietà, alla scoperta del meccanismo della selezione naturale da parte di Charles Darwin. Mentre la teoria dell'evoluzione prese piede velocemente, quella genetica faticò a imporsi, e anche a essere compresa. Addirittura i primi genetisti la usarono paradossalmente contro l'evoluzione, sentendosene, chissà perché, più rassicurati, e non comprendendo quanto le due teorie fossero complementari. Nonostante i numerosi tentativi di smontarla, è proprio la genetica a aver fornito le prove inconfutabili dell'evoluzione. Dentro i nostri geni, infatti, in quell'alfabeto scritto con quattro elementi, Adenina, Timina, Citosina e Guanina, è impresso il più immane libro della Storia, una storia vecchia quattro miliardi di anni. Cosa singolare: l'Adenina è sempre appaiata alla Timina, la Citosina sempre alla Guanina, per cui il codice della vita è sostanzialmente binario, come il linguaggio in cui sono scritti i programmi del computer. L'evoluzione è sempre stata lo spauracchio degli ottimisti e dei vitalisti, e perfino George Bernard Show, felice perché Darwin aveva spazzato i dogmi religiosi, ne era inquietato: «Quando si comprende tutto il suo significato il cuore sprofonda in un mucchio di sabbia dentro di noi. Vi è in essa un odioso fatalismo, una spaventosa e esecrabile riduzione di bellezza e intelligenza». Ma questa è la realtà, e lamentarsene serve a poco.

In compenso perfino la genetica non gode di simpatie, basti pensare al movimento di resistenza verso gli organismi geneticamente modificati, semplice pregiudizio di ignoranza per il quale si preferisce mangiare del mais cancerogeno ma naturale, piuttosto che una versione modificata senza aflatossine. D'altra parte, grazie alla paleogenetica, abbiamo svelato molti misteri antichi, perfino sulle mummie: analizzando il Dna di cinque generazioni di faraoni, tra cui Tutankhamon e Akhenaton, abbiamo scoperto che erano di corporatura e fisionomia normale, e non deformi e alieni come volevano apparire. In compenso si sposavano tra consanguinei, cosa che fece estinguere le dinastie proprio a causa della commistione degli stessi patrimoni genetici (due geni recessivi portatori di malattie si attivano facilmente nell'unione tra fratello e sorella).

Altra rivelazione della genetica: il più grande amante della storia non è stato Casanova bensì Gengis Kahn, progenitore di 16 milioni di uomini odierni, portatori del suo cromosoma. Curioso, invece, che proprio il genio di Darwin non avesse compreso il funzionamento dell'ereditarietà: per forza, aveva preso per buoni gli studi di Jean­Baptiste de Lamarck e non aveva letto Gregor Mendel, personaggio eccentrico e centrale nella storia della genetica (almeno quanto Friederich Miescher). A cominciare dal fatto che Mendel, volendo diventare scienziato, fosse diventato monaco in quanto era il modo più facile per essere mantenuti, dedicandosi al noto e decennale studio sui piselli, e comprendendo il mistero del passaggio delle informazioni genetiche già alla fine dell'Ottocento, oltre mezzo secolo prima che James Watson e Francis Crick prendessero il Nobel per averne rivelato la struttura a elica. In vecchiaia Mendel entrò in una serie di conflitti con la Chiesa, e le sue carte furono bruciate dopo la sua morte.

A riprova che alla Chiesa i piselli non sono mai piaciuti, almeno ufficialmente.

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