In fondo la storia di Diodato è quella di un cantautore vecchio stile. Tanta gavetta. Fatica e concertini per quattro gatti. E niente talent show a fare da trampolino di lancio. Nato ad Aosta ma vissuto sempre a Taranto, dove è uno dei «motori» del concertone del Primo Maggio che fa concorrenza a quello di Roma, a differenza di tanti altri cantautori Antonio Diodato, classe 1981, ha la voce: sottile ma cristallina e capace di riflessi d'ambra.
È sempre stato atipico, nel senso che non ha sfruttato le corazzate social per sgomitare nel pollaio della notorietà. Ha cantato, quando aveva da cantare. E ha conservato educazione ed eleganza. Perciò nel Festival buono di Amadeus lui è un'altra conferma dei tempi che cambiano. «Ma non mi sento un esempio», spiega quasi senza voce nel pomeriggio della domenica, che per il vincitore è di solito una estenuante maratona di interviste. Fai rumore è il titolo del brano, oltre che il riassunto della sua missione sanremese perché di rumore, qui al Teatro Ariston, ne ha fatto parecchio.
Ma qual è il significato del brano?
«Soprattutto è un invito ad abbattere i muri dell'incomunicabilità tra le persone, tra tutte, non solo tra chi ha rapporti sentimentali».
Naturalmente qualcuno pensa che sia una dedica a Levante, la cantante con la quale tu hai condiviso un tratto di vita...
«Direi che ha un significato più largo e meno personale».
Il tuo nuovo album si intitola Che vita meravigliosa ed esce il 14 febbraio.
«Scrivendo i testi di questo disco mi sono analizzato, ho provato ad abbattere le barriere e le gabbie nelle quali io, come tanti, mi sentivo imprigionato. La musica mi serve per conoscermi e mettermi a fuoco ed è anche un modo per capire il mondo, non soltanto quello che mi gira intorno o che vivo nel mio animo».
Diodato, ma come sono stati gli inizi?
«Come quelli di tanti. Ho imparato a cantare nei piccolissimi locali e ho pagato anche io lo scotto del Se vuoi cantare, portati il pubblico. Sono piccole umiliazioni che ti fanno dire Ma chi te lo fa fare?».
Aiutano però a trovare gli anticorpi alle delusioni.
«Beh certo, se suoni davanti a due persone, o fai così oppure ti ritiri...».
Il vincitore del Festival di Sanremo va di diritto all'Eurovision Song Contest.
«Il mio non è un brano dance, non è reggaeton e ha un testo in italiano.
Qualcuno mi consiglia di tradurlo in inglese oppure di trovare qualche escamotage per farlo capire anche a chi non capisce l'italiano. Ma sai che c'è? A me piace proprio l'idea di portare la lingua italiana nel mondo, perché tradurla? Mi sembra che sia bella a sufficienza per non cambiarla».
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