Follia, dipendenza e cattiveria. Ecco il web secondo Herzog

Ecco il web secondo Herzog In «Lo and Behold» il regista 73enne racconta la «cosa» che si è «insinuata nel lato oscuro dell'esistenza umana»

Follia, dipendenza e cattiveria. Ecco il web secondo Herzog

Fu vera gloria? Non aspetta i posteri Werner Herzog, il regista, sceneggiatore e produttore tedesco 73enne con mezzo secolo di carriera tra film originali come Aguirre: furore di Dio (1972) e Fitzcarraldo (1982), ed emette subito la sentenza. Sì, è vera gloria quella di Internet. E lo dimostra, con la potenza visionaria del proprio sguardo, nel suo nuovo film Lo and Behold. Internet: il futuro è oggi (dal 6 ottobre, con I Wonder Pictures e Unipol Biografilm: coraggiosi). Dove, in 6 blocchetti tematici - un capitolo s'intitola: La gloria della Rete - si ripercorrono le tappe della rivoluzione digitale che, nel bene e nel male, ci ha cambiato la vita. Considerando gli ultimi fatti di cronaca Tiziana Cantone suicida per i video hard virali e la minorenne di Rimini stuprata, intanto che le amiche diffondevano il video dello stupro su Whatsapp -, si direbbe che il mondo digitale porti con sé abiezione soltanto.

Ma esiste un lato epico di quello che Herr Herzog, grande ammiratore di Leni Riefenstahl e non-possessore di telefono cellulare (usa Internet solo per inviare e-mail: praticamente è un turista della tecnologia), chiama «la cosa». E nel film si afferma che la Rete fu disegnata «per una comunità in cui ognuno si fidava dell'altro», quando ancora non si parlava di cyberterrorismo.

Per sottolineare l'importanza di Internet, il regista di culto qui impegna la sua voce di maestro germanico, dura, quindi, e arrochita, spiegando, passo passo, come tutto ebbe inizio. Pochi sanno che nel 1969 un modesto laboratorio informatico dell'università Ucla di Los Angeles inviò il primo messaggio trasmesso su Internet a qualche centinaio di chilometri, agli scienziati dell'università di Stanford in trepida attesa. E c'è il professor Leonard Kleinrock della Ucla, uno dei creatori di Arpanet, precursore di quanto ora conosciamo come Internet, che apre un grosso armadio: è il primo computer della storia, al cui interno vecchi meccanismi e fili «vintage» promanano ancora «un buon profumo».

Guidando lo spettatore in una breve ricognizione degli albori della Rete, Herzog fissa orgoglio e passioni di innovatori come Bob Kahn, inventore di alcuni protocolli alla base di Internet e come Tim Berners Lee, creatore del World Wide Web. Gente entusiasta e menti bizzarre sfilano in questa carrellata sui pionieri della comunità digitale, dove conversazioni interessanti pongono grandi questioni. «È possibile che la Rete sogni se stessa?», chiede Herzog a due neuroscienziati, citando una frase dello stratega Karl von Clausewitz, all'epoca di Napoleone: «La guerra, a volte, sogna se stessa». Nessuno degli interpellati ha una vera risposta, ma l'immenso potere del mondo connesso è fuori discussione.

«Questa realtà è ormai diffusa ovunque, perciò è naturale che si insinui anche nel lato oscuro dell'esistenza umana. Gli scrittori di fantascienza dagli anni Cinquanta in poi non avevano neanche lontanamente immaginato l'avvento di Internet. Parlavano di macchine volanti e colonie interplanetarie, ma nessuno aveva previsto il cambiamento radicale che la società avrebbe vissuto», considera Herzog. Che, a un certo punto, intervistando l'imprenditore Elon Musk, fondatore di Tesla e di SpaceX, che progetta e organizza viaggi su Marte, si dice interessato a volare sul pianeta rosso, ma con un biglietto di andata e ritorno... Il futuro è ora.

Poi, però, arrivano le tristi testimonianze di ragazze e ragazzi dipendenti dal gioco in Rete, ricoverati in centri di riabilitazione per disintossicarsi dalla connessione continua (in Cina e in Corea, c'è chi muore davanti al computer perché non stacca mai e c'è chi indossa i pannolini, per evitare di perdere tempo andando in bagno) e i racconti dei tanti che si ammalano, per le troppe radiazioni, e sono costretti a vivere in un luogo lontano dai campi elettrici. A far sorridere, anche d'ironia, pensano «il semidio degli hacker» Kevin Mitnick, che narra come abbia violato i segreti della Motorola «per avere un trofeo» (quattro anni di prigione federale) e l'ingegnere robotico Joydeep Biswas, entusiasta del suo robot n.8 che gioca a calcio come Messi e Ronaldo.

Se l'obiettivo di quest'antologia sulla cultura digitale è educare le persone, occhio alla famiglia Catsouras in lutto, pittoricamente inquadrata nel proprio isolamento: la figlia Nikki aveva rubato la Porsche di papà, s'era schiantata in macchina e la foto della sua testa decapitata era stata subito inviata al padre da troll anonimi, con la frase: «Cucù, papà».

Il sottotitolo del film dice che sono «i sogni del mondo connesso». Ma per la mamma di Nikki Catsouras, «Internet è la manifestazione dell'Anticristo».

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