"Io, Amerikano a Roma tra politica e misteri"

Storico e consigliere della Casa Bianca, ha vissuto svolte cruciali dell'Italia, dalle Br a Tangentopoli

"Io, Amerikano a Roma tra politica e misteri"

Michael Ledeen (Los Angeles, 1941) giunse in Italia negli anni '60. Era un giovane simpatico e cordiale, un ebreo americano discendente da una famiglia di origine russa trasferitasi in America nei primi del '900. Si era laureato con George Mosse, del quale era diventato collaboratore all'università del Wisconsin, ed era venuto nel nostro Paese con una borsa di studio per approfondire il ventennio fascista. L'intelligenza vivace, la curiosità intellettuale e la simpatia umana gli fecero stringere, nell'ambiente non esclusivamente di storici che ruotava attorno a Renzo De Felice, molte amicizie. Anche per me, mi fa piacere ricordarlo per incidens, Michael Ledeen divenne un caro amico, anzi l'«amico americano».

I suoi primi libri apparsi in Italia, L'internazionale fascista (1973) e D'Annunzio a Fiume (1975), furono ben accolti, soprattutto il secondo che rappresenta a mio parere un momento di svolta nella letteratura storiografica sull'impresa fiumana. Tuttavia il successo e la notorietà giunsero con l'Intervista sul fascismo (1975) a Renzo De Felice destinata a suscitare un vespaio e un linciaggio intellettuale contro De Felice.

A Roma Ledeen frequentava intellettuali, politici, giornalisti e inviava corrispondenze ad alcune testate americane. Nel 1976 scrisse, con la giornalista Claire Sterling un articolo sui finanziamenti sovietici al Pci che fece scalpore in Italia e in Urss e cominciò a far circolare la leggenda che egli fosse un agente della Cia utilizzato per screditare i comunisti. In seguito lavorò in importanti think tanks e ricoprì incarichi di rilievo presso la Casa Bianca, il Dipartimento di Stato, il Dipartimento della Difesa, il National Securuty Council divetnando un ascoltato analista politico. Il tutto, sempre, con uno sguardo privilegiato rivolto all'Italia che considerava quasi una seconda patri.

Un bilancio della sua intensa vita, di studioso ma anche di testimone e protagonista di alcune significative svolte della storia, Ledeen lo tenta oggi nel volume-intervista di Marco Cuzzi e Andrea Vento La versione di Michael. Un amerikano alla scoperta dell'Italia (Biblion) nel quale è ripercorso un quarantennio di storia italiana e internazionale: un periodo segnato da fatti come la recrudescenza della guerra fredda, la stagione del terrorismo, l'impatto epocale della caduta del muro di Berlino, la fine della prima repubblica in Italia e la nascita della seconda. Di molti di questi fatti Ledeen racconta verità sgradite o svela retroscena.

A proposito dell'attentato a Giovanni Paolo II nel 1981, Ledeen ribadisce con forza, per esempio, il fatto che esso fu pianificato dai servizi segreti militari sovietici come risposta all'attivismo politico del pontefice in Polonia. E aggiunge che l'ordine fu impartito da Leonid Breznev in persona: «In un sistema totalitario perfetto è il vertice che decide tutto. L'Urss era un totalitarismo perfetto. E Breznev ne era al vertice». Sul ruolo dei servizi segreti sovietici Ledeen ricorda che furono attivi in Italia già dagli anni '20, all'indomani della rivoluzione russa, e stabilirono legami organici con i capi del partito comunista italiano regolarmente convocati a Mosca per ricevere direttive e finanziamenti. La loro più importante operazione nell'Italia del secondo dopoguerra fu «quella di prendere possesso della cultura di massa e degli intellettuali, delle scuole, dei libri di testo, delle università» realizzando una gigantesca falsificazione della Storia «per motivi puramente politici, quelli di conquistare e dominare la cultura italiana». La totale spregiudicatezza dei servizi sovietici emerse durante la stagione del terrorismo: essi «appoggiavano con una mano le Br e al contempo finanziavano anche il Pci» con un comportamento solo in apparenza ambiguo perché in realtà utilizzavano «i terroristi di estrema sinistra in Italia proprio per provare il patriottismo e la moderazione del Pci».

Interessanti sono le considerazioni di Ledeen su Tangentopoli. A differenza di chi sostiene che l'inchiesta fu un regolamento di conti con Craxi dopo la vicenda di Sigonella, egli è categorico: «No. Craxi, lo so perché allora collaboravo con il Governo americano, era letteralmente adorato a Washington. Anche con tutta la faccenda di Sigonella e le altre cose! Craxi era il miglior alleato che l'America avesse potuti trovare in Italia in quegli anni. E ciò nonostante Craxi era il più filoarabo di tutti i tempi». E ancora: «Il governo americano, sia alla Casa Bianca sia al Dipartimento di Stato amava Craxi. Craxi era il miglior primo ministro immaginabile per loro».

Tuttavia Tangentopoli segnò la fine di Craxi e aprì la strada al periodo berlusconiano iniziato con la vittoria elettorale del 1994: una vittoria che Ledeen aveva allora ritenuto «improbabile come tutti quanti» e che era giunta a sorpresa anche per il governo americano che, però, in quel momento, non si era mostrato preoccupato dal possibile successo della «gioiosa macchina da guerra» di Achille Ochetto. Gli americani erano sereni sia perché ritenevano che l'Italia fosse diventata «periferica» dopo la caduta del muro di Berlino sia perché erano convinti che l'ascesa al potere del Pds non sarebbe stata «una minaccia per la Nato e per la nostra alleanza». Ledeen ricorda anche come molti intellettuali americani tifassero per la vittoria dei postcomunisti: «avevano sempre creduto che i comunisti al potere fossero una cosa buona per l'Italia». Del resto, anche prima del crollo del muro, tra gli anni '70 e '80, alcuni ambienti della Cia caldeggiavano una politica distensiva nei confronti di Mosca e dei Paesi del Patto di Varsavia e strizzavano l'occhio al Pci.

Nell'intervista Ledeen ricostruisce fatti e retroscena della politica italiana e internazionale fino ai nostri giorni e si lascia andare, sui protagonisti, a giudizi lapidari: Andreotti è «un uomo affascinante, innanzitutto un uomo del Vaticano»; Putin «un classico zar russo»; Netanyahu «il più bravo leader occidentale»; Macron, il «solito arrogante francese».

Ce n'è anche per Papa Francesco, «simpatico, ma troppo di sinistra», e persino per Giuseppe Conte, «uomo di transizione» che «certo non è un Napolitano». Il tutto nel quadro di una interpretazione che, come giustamente recita il titolo, è «la versione di Michael».

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