"Io, tragico giudice Sossi tra dovere e disillusione"

L'attore interpreta su Raiuno il magistrato rapito dalle Brigate Rosse nel 1974. Una serie che ripercorre gli eventi simbolo degli anni di piombo

"Io, tragico giudice Sossi tra dovere e disillusione"

La sera del 18 aprile 1974, in via Forte San Giuliano, a Genova, il giudice Mario Sossi scende dall'autobus numero 42 e a piedi si avvia tranquillo verso casa. Un'Autobianchi A112 lo affianca; due uomini scendono; l'afferrano, l'immobilizzano, lo spingono dentro. Questa la scena che quarant'anni fa avviò il primo, clamoroso rapimento firmato Brigate Rosse. Questa la scena che, quarant'anni dopo, inaugurerà Trilogia Anni 70: sei puntate prodotte da Albatross e dirette da Graziano Diana che - prossimamente su Raiuno - rievocheranno tre eventi-simbolo del cupo decennio degli «anni di piombo». Con il Commissario (cioè Calabresi, interpretato da Emilio Solfrizzi), L'ingegnere (personaggio di fantasia, interpretato da Alessio Boni, sulla marcia sindacale dei 40mila a Torino) e Il Giudice (naturalmente Sossi), cui presterà il volto, spaesato come nella celebre foto in bianco e nero, Alessandro Preziosi.


Trilogia Anni 70: una rievocazione storica? O un dramma umano?


«L'uno dentro l'altra. Il rapimento Sossi, infatti, ha un potenziale drammatico enorme. Con esso le Brigate Rosse dichiarono guerra allo Stato Italiano. Che però non se ne accorse. E così la Procura di Genova e Sossi si ritrovarono ad affrontare da soli disagi prima, e poi minacce, che forse le istituzioni sottovalutarono».


E Sossi? Che figura è? Politica? Simbolica? Tragica?


«M'hanno affascinato le due diverse fasi della sua vita. La prima, in cui dovette gestire un potere giudiziario che proprio allora cominciava a chiedere un riconoscimento esecutivo (cogli anni divenuto politico). E la seconda, quella del post-rapimento, che cambiò radicalmente il suo rapporto con lo Stato, ponendogli la domanda-tormento di una vita intera. Fin dove è giusto sacrificare se stessi, fino al punto di rischiare la propria vita, per uno Stato senza un'identità forte, talvolta addirittura assente?».


Interpretato anche da Ennio Fantastichini e Stefania Rocca, «Il Giudice» ricostruirà degli anni 70 secondo stereotipo? Gli anni di piombo, il terrorismo oscuro, la cupa austerity?


«No, no: proprio su questo Graziano Diana, sceneggiatore oltreché regista, s'è particolarmente battuto. Gli anni 70 furono tormentati solo perché avviarono innumerevoli cambiamenti. E tutti i cambiamenti nascono nel travaglio. Che però è in sé positivo: nulla può divenire migliore senza sofferenza».
Alcune delle inquietudini che contrapposero allora la Destra alla Sinistra sembrano talvolta riaffiorare. La Trilogia Anni 70 avrà una colorazione politica?
«Naturalmente no. Sarà la storia di uomini in difficoltà. E del loro Paese nel momento del travaglio».


Un diverso tipo di travaglio, e di cambiamento, è anche al centro de «Il volto di un'altra», il film di Pappi Corsicato con cui, accanto a Laura Chiatti, lei partecipa al Festival del Film di Roma.


«Cambiamento estetico. Ma anche (e soprattutto) interiore. Il film è infatti la storia di un famoso chirurgo che, dopo anni d'irreprensibile attività, cede alle lusinghe della chirurgia plastica, e si fa coinvolgere dall'insensatezza culturale che impone di modellare la propria immagine».


E il valore simbolico dell'estetica domina anche il «Cyrano de Bergerac» che, a novembre a Torino e a gennaio a Roma, lei riporterà in teatro dopo una stagione di successi.


«Cyrano è la storia di un uomo che si dispera per la propria deformità fisica. E di una donna che troppo tardi scoprirà quanta bellezza interiore si nasconda dietro quel gigantesco, paradossale naso. Non è, anche questa, una storia dei nostri tempi, afflitti dalla manìa della bellezza esteriore?».


Ma perché ha voluto privare

Cyrano del suo proverbiale nasone?


«Perché in lui il senso di disagio, d'inadeguatezza nasce non tanto da quella spropositata appendice, ma dal suo essere poeta e sensibile, in un'epoca sguaiata e indifferente».

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