L' arrivo nelle sale della trasposizione di un romanzo che ha venduto (in 19 paesi) un milione di copie, provoca, come minimo, un aumento della soglia di attesa. In questi casi, poi, si eleva anche la difficoltà, per un regista, di trasferire la pagina scritta sul grande schermo; soprattutto, con un seguito di pubblico come ha, ancora oggi, Bianca come il latte, rossa come il sangue, il bestseller scritto, nel 2010, da Alessandro D'Avenia del quale, da giovedì, esce, per la gioia dei teenager italiani, l'omonimo film. Ecco, la parola chiave è proprio teenager perché la pellicola, firmata da Giacomo Campiotti, è diretta a loro. Se si vuole giudicare questo film non si può prescindere da questa pietra angolare. Che poi i nostri adolescenti parlino e si ritrovino con quelli, a volte rasenti la macchietta, descritti nella pellicola, è un altro paio di maniche.
Siamo a Torino e qui il sedicenne Leo (Filippo Scicchitano), terza liceo frequentata di malavoglia, vede la vita a due colori. Il bianco lo atterrisce, il rosso genera in lui passione e amore. Del resto, è il colore dei capelli della diciassettenne francese Beatrice (Gaia Weiss), per la quale Leo ha perso la testa pur non avendo il coraggio di dichiararsi: «Siamo fatti l'uno per l'altra. Io lo so. Lei no. Non sa di amarmi. Non ancora». Esattamente come la sua compagna di classe Silvia (Aurora Ruffino, nata nell'89), che lo ama segretamente (oddio, lo hanno capito tutti a scuola, anche gli spettatori dopo cinque minuti, tranne il protagonista) ma che lui considera un'amica. Naturalmente, per completare il triangolo delle ovvietà, lui racconta, ogni due per tre, alla povera Silvia quanto sia innamorato della donna dei suoi sogni facendola rosicare ancora di più. No, non è la trama di Come te nessuno mai di Muccino ma gli somiglia. Se poi ci aggiungete l'arrivo di un professore di Lettere (Luca Argentero) che fa l'amicone con gli studenti facendo il verso al Robin Williams de L'attimo fuggente (anche se il prof D'Avenia ha portato la sua esperienza professionale), il primo della classe grassoccio, i bulli della quarta in nero e l'amico di lui sfigatino, gli archetipi classici della commedia giovanilistica banalotta ci sono tutti.
La svolta, però, arriva dopo quaranta minuti, quando il film vira in una sorta di Love Story italiana. Beatrice è affetta da un male incurabile e a Leo cade il mondo sotto i piedi. Da questo momento, l'attenzione dello spettatore si fa seria e i fazzoletti iniziano ad uscire dalle borse delle ragazze. Lui, dopo lo sconvolgimento iniziale, va da lei tutti i giorni, disposto anche a donare il suo midollo pur di salvarle la vita. La commedia si fa dramma, pur all'interno di un film adolescenziale, e malattia (bianca come i globuli che avanzano), dolore e ricerca ossessiva della fede diventano la colonna sonora del film, insieme alle musiche, sempre trascinanti, dei Modà. Magari, qualche adulto in sala storcerà il naso ma i ragazzi, decisamente più sensibili (o meno cinici), si immedesimeranno nella storia.
Qui emerge la bravura di Campiotti che ha saputo tenere le redini del cast senza farlo deragliare (quando si affronta la malattia, il rischio banalizzazione è sempre alto). Filippo Scicchitano sa essere convincente nei suoi sbalzi d'umore e d'amore, anche se non raggiunge i livelli, davvero alti, di Scialla e Un giorno speciale; in ogni caso, teniamocelo stretto perché di stoffa ne ha davvero tanta. Le due ragazze, la francese Gaia Weiss e la nostrana Aurora Ferrari, rendono al meglio, in credibilità, i loro rispettivi personaggi. A steccare è Luca Argentero ma non per colpa sua: il prof che gli tocca interpretare, che tira di boxe meglio di come insegni, è a tratti anche stucchevole.
Certo, ci sarebbe da dire sul compito di matematica suggerito scrivendo le soluzioni sul palmo della mano e sulla coscia, su come siano evidentemente inverosimili le partite di calcetto, su Silvia che diventa allenatrice senza che nessun maschio la mandi a quel paese per le sue incomprensibili tattiche e sul fatto che Leo non sappia la data della scoperta dell'America. Prendiamo il buono di questo film. Già per il fatto che parli di Dio a degli adolescenti è un piccolo miracolo che vale più di ogni piccola incongruenza. Un inno alla vita attraverso la morte.
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