Il «Ratto» di Strehler e Mehta è ancora insuperato

Vent'anni dopo la morte di Giorgio Strehler, il Teatro alla Scala ha molto opportunamente riproposto la sua messa in scena del Ratto dal serraglio di Mozart (scene e costumi di Luciano Damiani). Uno spettacolo che ha sorpassato i 50 anni ed è ancora di una freschezza esemplare (merito anche della ripresa curata perfettamente da Mattia Testi). Aveva ragione Fedele d'Amico: è superfluo insistere nei confronti fra cantanti di questa o quella edizione, anche perché il primo Belmonte era la luce tenorile in persona, l'insostituibile Fritz Wunderlich. «Il miracolo di questo Ratto non va ricercato nelle virtù autoctone di questo o quel cantante (in quest'edizione scintillavano le donne, Lennecke Ruiten e Sabine Devielhe piuttosto che i simpatici tenori «bietoloni» Mauro Peter e Maximilian Schmitt), ma nella regìa, capace di trascinare irresistibilmente ognuno di loro, battuta per battuta, alla scoperta dell'accento musicale pertinente. () Strehler inventa Mozart per tutta una serata, ma quel che inventa, è appunto Mozart, il quale nelle sue invenzioni si sarebbe riconosciuto senza fallo». Sempre sublime il gioco di luce creato dalla zona d'ombra in cui i personaggi diventano silhouettes, «a segnalare le échappées della musica verso la fantasia».

Sotto la guida nobile di Zubin Mehta (era lui sul podio a Salisburgo mezzo secolo fa), la regìa storica di Strehler è sembrata così perfetta da meritare una riduzione a manuale, studio propedeutico (e necessario) per i tanti che pensano con un trasloco di tempo di aver inventato il teatro di regìa.

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