Sul fascismo la bibliografia è ormai sterminata. Non c'è momento, aspetto e problema del suo manifestarsi che non sia stato indagato sotto i più diversi angoli visuali. Tanto da poter dire che l'interesse verso la sua storia ha assunto forme enfatiche, per non dire parossistiche, quasi a significare che i conti con la sua esperienza siano ancora lontani dall'esser chiusi. Eppure il fascismo, come il comunismo, è morto; anzi, stramorto. Il significato della sua parabola si delinea ormai in modo inequivocabile relativamente al suo posto e al suo peso nel bilancio complessivo del secolo trascorso. Certo, la conoscenza di tutto quello che esso ha prodotto non può che risultare «inesauribile», come «inesauribile», ovviamente, risulta ogni evento del passato, specialmente se questo si pone, come nel caso del fascismo, al centro di un crocevia fondamentale della storia novecentesca.
Su questa inesauribilità getta ora nuova luce lo studio fondamentale di Eugenio Di Rienzo dedicato a Galeazzo Ciano, uscito oggi presso la casa editrice Salerno (Ciano. Vita pubblica e privata del «genero di regime» nell'Italia del Ventennio nero, pagg. 696, euro 34) che si basa su una ricca documentazione inedita proveniente dagli archivi italiani, vaticani, britannici, francesi, nipponici, tedeschi, statunitensi.
Attraverso questa imponente e accuratissima biografia, Di Rienzo ricostruisce i passaggi decisivi del regime fascista, soprattutto a partire dal momento in cui il genero di Mussolini assume, nel 1936, la guida della politica estera nella grande scacchiera delle relazioni internazionali che comprendevano non solo tutto l'Occidente, ma anche il Mar Rosso, i Balcani, l'Egitto, il Medio Oriente, l'Afghanistan, l'India, l'Asia orientale, l'America meridionale. Come ministro degli Esteri, Ciano prese sul serio l'esortazione del Conte di Cavour («Essere presenti sempre e dappertutto!»), proiettando il suo protagonismo politico e diplomatico con grande impegno, senza risolvere tuttavia il problema storico, o piuttosto il dramma, della politica estera italiana, rimasto immutato dal 1870 al 1943, quello, cioè, di una nazione provvista di una potenza virtuale molto più elevata di quanto la sua potenza effettiva le consentisse di esercitare, e per quest'anomalia indotta ad assumere decisioni a volte azzardate e apparentemente irrazionali.
Oltre a far luce sull'azione politico-diplomatica, l'importanza di questo studio consiste nel fatto che Di Rienzo pone al centro della sua ricerca il Diario, redatto dal genero di Mussolini dal 9 giugno 1936 al 6 febbraio 1943, fonte documentaria alla quale hanno dato credito quasi tutti i suoi biografi e la maggioranza degli analisti dell'ultima fase del regime fascista (non escluso Renzo De Felice e buona parte della sua scuola) perché testo considerato genuino e addirittura inoppugnabile.
Per Di Rienzo, invece, il Diario è in gran parte inautentico e contraffatto, come lo sono le tante testimonianze apologetiche che moltissimi protagonisti del regime (Bottai, Grandi, Bastianini) hanno consegnato ai posteri. Già Allen Welsh Dulles (direttore a Berna della «Divisione Europa» dell'Office of Strategic Services) e Gaetano Salvemini, presa visione del manoscritto del Diario, riscontrarono in esso inesattezze, errori di datazioni, contraddizioni cronologiche e fattuali, cancellature e sostituzioni, vistose lacune inerenti alcuni momenti cruciali della politica estera italiana. Espressero un analogo giudizio anche il ministro degli Esteri tedesco Joachim von Ribbentrop, quello spagnolo Ramón Serrano Súñer, l'ambasciatore francese a Roma dal 1938 al 1940 André François-Poncet, il direttore del «giornale di famiglia» dei Ciano, Giovanni Ansaldo. Anzi fu proprio Ansaldo a scrivere che non bisognava «credere che Ciano, pur considerando il diario la sua valvola di sfogo, pur riservandosi di servirsene, un domani, anche contro Mussolini, fosse sincero nella sua stesura». In conclusione, per Di Rienzo il Diario costituisce, nella sua interezza, una testimonianza infedele, dove appare evidente il gioco della simulazione, della dissimulazione e della mistificazione sistematica, dato che esso fu deliberatamente vergato al solo fine di separare le responsabilità del suo autore da quella del Duce.
Ad esempio, solo scarsi accenni sono fatti alla riunione del 15 ottobre 1940 nella quale Mussolini, Ciano e Badoglio pianificarono l'aggressione della Grecia, mentre sono state distrutte e sostituite le pagine originali sul disastro militare che fece seguito a quella decisione. Nessun riferimento è poi fatto al ruolo giocato dal governo fascista per la preparazione, l'attuazione e il sostegno al golpe di Franco, né ovviamente al cosiddetto Gabinetto Ufficio Spagna, che permise a Ciano di coordinare, subordinando alla sua iniziativa l'azione del Ministero della Cultura Popolare e dei dicasteri economici e militari, l'intervento fascista a favore delle forze golpiste guidate dal Caudillo. Di enorme rilevanza sono, infine, le omissioni e le falsificazioni del Diario, portate alla luce da Di Rienzo, per ciò che concerne la decisione di occupare l'Albania, il convegno di Milano del 6-7 maggio 1939 tra Ciano e von Ribbentrop, la firma del Patto d'Acciaio del 22 seguente, l'intero periodo della «non belligeranza» (settembre 1939-giugno 1940), le reazioni di Mussolini subito dopo il disastroso fallimento dell'offensiva del Regio Esercito in Epiro.
Partendo da queste constatazioni e da queste premesse metodologiche, è possibile quindi vedere con occhi diversi e più disincantati alcuni momenti centrali della storia del fascismo, e comprendere con maggiore profondità analitica le scelte fondamentali fatte da Mussolini riguardo il periodo successivo all'invasione
dell'Etiopia, la guerra di Spagna, l'asse Roma-Berlino, il conseguente Patto d'Acciaio con la Germania nazista, l'entrata in guerra dell'Italia, i rovesci militari italiani in Grecia, Russia, Nord d'Africa, la caduta del regime.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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