Da ragazza mangiava la banana con una mano davanti alla bocca, a scanso di equivoci. Da donna matura l'equivoco se lo va a cercare, senza freni o tabù: anche sesso a tre nei privé. Tanto il lato B la sostiene comunque e, come attrice, il talento è già emerso. Ne ha fatta di strada la quarantunenne Claudia Gerini, che dopo il famolo strano con l'allegro Verdone di Viaggi di nozze, da ieri arroventa gli schermi estivi con Tulpa, giallo cupo a luci rosse di Federico Zampaglione, suo partner di vita e di lavoro. Lasciare il marito pariolino, anche padre di Rosa, per la rockstar dei Tiromancino, con cui da otto anni condivide dischi, film e la figlia Linda, ha i suoi perché. In questo sexy-horror anni Settanta, chiacchierato per gli incontri al buio molto espliciti, la parte inquieta di Claudia viene fuori.
La tua Lisa, manager di giorno e scambista di notte, è un personaggio estremo. Nessun imbarazzo a recitare certe scene?
«Federico ha seguito le scene con occhio protettivo e selettivo. Mai avrei accettato, se non si fosse trattato di lui. La scena più hot l'abbiamo girata in un giorno, con lui che faceva battute ironiche al povero Ivan Franek. Tipo: Daje, o Attento, che è mi' moje!. Con le suggestioni musicali del fratello di Federico e le luci giuste sono andata fino in fondo. In quei momenti, io ero attrice e lui regista. Dovevamo portare a casa la scena».
Ma non è un film che le tue figlie possano vedere...
«Certo che no. Lo vedranno a 18 anni compiuti. Sono ragazze intelligenti e sanno che mamma è un'attrice. Questo è il film più sconvolgente della mia carriera: rivedendomi, sono rimasta sotto choc. Ho già fatto altri nudi, ma qui ce ne sono di integrali, lunghi, a tinte forti... Ciò detto, sono fiera d'aver riportato in auge la vecchia maniera italiana. Alla Lucio Fulci, Dario Argento, Lamberto Bava. È un bel ritorno. Il genere giallo all'italiana ha lasciato molti orfani. Poi, qui aggiungo pathos al mio personaggio: quando fuggo, da donna sola, puoi pensare a un qualsiasi film drammatico d'autore».
Le fantasie sessuali perturbanti che oggi dilagano surrogano l'assenza del sentire profondo o dell'erotismo di tempi diversi?
«Nel film, sono drammaturgicamente rilevanti. Guardiamo il film vincitore di Cannes: sequenze lunghe e dettagliate, con l'erotismo crudo che si nasconde dietro a molte cose. Il sesso con gli sconosciuti, qui, affronta il problema dell'identità: si può essere veri soltanto con la maschera. Però, a livello sociale, sappiamo che le relazioni sentimentali affaticano e nessuno vuol lavorarci: siamo al fast-food dei sentimenti. E il mondo virtuale ha impoverito i rapporti umani».
La tua protagonista, una single che frequenta sex-club cercando il proibito, è creatura di fantasia o l'avete pescata nella realtà?
«Di donne così ce ne sono molte. Le incontri di giorno e sono in un modo. Ma la notte... La brama del sesso non è solo maschile. Magari l'uomo è più portato al pluralismo degli incontri. Ora come ora ci sono tante donne che vogliono emozioni forti. E che se le procurano».
Dopo «La grande bellezza», un altro film con Roma protagonista. Che tipo di città si vede?
«Una Roma astratta e notturna, con il quartiere metafisico dell'Eur. Quante volte, passandoci di notte, con Federico ci siamo detti: "Guarda quest'angolo, così inquietante". Cercavamo atmosfere gelide e infernali».
«Tulpa» è il nome del club dal sesso
«In tibetano sta per: la parte oscura di noi. Pare che i monaci tibetani, meditando, riescano a proiettare il "tulpa" fuori di sé. Pratica che porta alla follia».
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