Il teatro riversa sugli attori un certo splendore che nemmeno nell'età più matura si dilegua del tutto. Com'è nel caso di Umberto Orsini, interprete poliedrico prestato anche al cinema - con Visconti ha girato La caduta degli dei , nel 1969 e Ludwig nel 1972 - e alla tivù durante una carriera lunga 58 anni. E pensare che a Novara, dov'è nato nel 1934, faceva il ragazzo di studio da un notaio. «Leggevo i rogiti con dizione chiara e la gente m'ascoltava tutta assorta. Fu lì che mi dissero che potevo fare l'attore», racconta. Adesso quella summa di arte, talento ed esperienza verrà espressa in una puntata di Camerini , serie in onda su Sky Arte HD a partire da oggi, alle 20,30 (Orsini sarà ospite il 31 luglio). «Il camerino è un luogo d'ispirazione, dove ci si prepara allo spettacolo, in solitudine o in compagnia: dipende dal carattere», dice l'attore, che ha lavorato con Ronconi, Visconti, Zeffirelli e Fellini: la crème de la crème.
Il camerino è la sua piccola chiesa personale?
«Per me è un luogo-simbolo. Posso viverlo in solitudine monastica, o nella più completa caciara. Dipende dal momento, dallo stato d'animo occasionale».
Mentre il cinema langue, il teatro conosce una stagione interessante. È così anche per lei?
«Sì, particolarmente in provincia. Dove puoi contare su un appuntamento con il pubblico che ha voglia di ritrovarsi, stare insieme e discutere. Intanto, le chiese sono morte e i teatri sono vivi! A teatro si rappresenta un culto, in chiesa si va per un rito».
Nel 1970 ha recitato con Laura Antonelli nel film di Ugo Liberatore «Incontro d'amore - Bali». Che cosa ricorda dell'attrice appena scomparsa?
«Era una ragazza solare e, all'epoca, non era ancora esplosa con Malizia di Samperi. Il regista era un imbecille: non aveva minimamente capito che Laura era una bambola sexy. Anzi, diceva di coprirle il seno perché lo trovava brutto. Per me lei rappresentava una specie di Marilyn: sembrava superficiale, ma invece aveva molti interessi. Di quel film balinese ci fu anche un piccolo remake».
Lei dice spesso che, invecchiando, occorre ridurre…
«Sì, avanzando nel tempo bisogna togliere peso all'esperienza, che porta con sé una serie di stereotipi. Un tempo ero più bravo a togliere, a ridurre: mi lanciavo di più».
E adesso?
«Adesso, tante cose le ho già fatte e ho paura di riciclarle. Certi registi si entusiasmano per alcune mie trovate, ma io già le ho fatte dozzine di volte. Prendiamo Bali: ci ho girato due film. Uno con la Antonelli, come abbiamo detto, e uno con Sylva Kristel, quando girammo Emmanuelle 2 : nello stesso posto, nelle stesse risaie, con gli stessi dialoghi, con la cinepresa piazzata negli stessi luoghi. Tutte cose già fatte. Sottrarre è un obbligo».
Nel suo bel libro «Tragico tascabile», l'apocalittico Guido Ceronetti sostiene che solo il teatro ci può salvare. Che cosa ne pensa?
«Sono d'accordo. C'è un dato che pochi conoscono: i teatri, in Italia, sono sempre pieni. Perché qui accade la stessa alchimia che si verifica nelle librerie: luoghi non per tutti, ma dove riconosci il vicino, l'affine. E questa comunanza ti tiene in vita. La mia compagnia, tra l'altro, è quella che ha più piazze. Certo, da imprenditore vedo che la situazione culturale è complessa, ma continuo a lavorare con le persone che stimo».
Ora è in Sicilia con «Il giuoco delle parti» di Pirandello. Quali programmi ha, dopo?
«A ottobre sarò a Roma, al teatro Argentina, con un testo poco rappresentato di Arthur Miller: Il prezzo . Trent'anni fa l'aveva interpretato Raf Vallone e ora lo ripropongo con la regia di Massimo Popolizio. Poi, saremo anche al Piccolo di Milano.
Purtroppo, registi importanti non ne esistono più: se penso che ho lavorato con Luca Ronconi, così sorprendente… Lui sapeva andare al centro della materia, per lo scarto dell'intelligenza con cui t'indicava strade che erano lì, accanto a te, ma che tu, da solo, non riuscivi a scorgere».- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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