Spettacoli

Si cerca senza trovarlo. Si desidera se viene tolto. I giovani non possono averlo, i vecchi non vogliono lasciarlo. E adesso che coincide con l’Araba Fenice, il lavoro si situa al centro della scena cinematografica ventura.
Mai assenza fu più evocativa, sul grande schermo italiano, che cominciò a ragionare in termini di Generazione mille euro, quasi una parodia delle famose «mille lire al mese» cantate quando la crisi non s’era accomodata alla nostra mensa. Per tacere del filone sul precariato, che ebbe in Tutta la vita davanti di Paolo Virzì un’apripista notevole. L’attività umana in cui si può trovare se stessi viene così declinata in tonalità che svariano nei generi, perché non abbiamo rinunciato a sorridere dei nostri guai, come dimostra la commedia di Francesco Patierno Cose dell’altro mondo (con Diego Abatantuono, Valerio Mastandrea e Francesca Lodovini), che Medusa distribuirà a marzo. Cosa succederebbe se una mattina, di punto in bianco, tutti gli extracomunitari svanissero dall’Italia? È la domanda a cui risponde questo film, ambientato in un paesino del Veneto, dove un industrialotto locale viene punito per le sue posizioni oltranziste: senza stranieri il paese non va avanti. Nel frattempo, con gli italiani diventati signori, molte cose strane accadranno e ognuno sarà costretto a interrogarsi sulle proprie finalità.
Vero è che lavorare significa provvedere al bisogno. Il problema del lavoro, quindi, viene associato all’urgente questione migratoria e alle conseguenti modifiche del comportamento nazionale, come si vedrà nell’atteso Terraferma, dramma simbolico di Emanuele Crialese, che torna alla regia otto anni dopo Respiro (tre David di Donatello), per narrarci la dura vita dei pescatori di Linosa, là dove industria del turismo, migrantes e coglitori di aricciole confliggono per spartirsi il territorio e le sue risorse. Interpretato da Donatella Finocchiaro, Beppe Fiorello e Filippo Pupillo, Terraferma è avventurosamente girato nelle profondità marine delle Isole Pelagie, a conferma che neanche il mare più invitante è di consolazione a chi del mare deve vivere.
Sui marciapiedi di città, invece, accade che una vedova (Paola Cortellesi) si metta a fare l’escort per non finire sul lastrico. Il mestiere più antico del mondo è così esercitato dalla comica romana in Nessuno mi può giudicare di Massimiliano Bruno (soggetto di Fausto Brizzi), con Raoul Bova come gestore di un Internet point: è lui il tipico italiano serio, che manda avanti il paese lavorando con onestà tra cingalesi e sudamericani.
Con la scusa di rispondere alla domanda: cosa succede se un’imbranata decide di fare la escort, Paola Cortellesi gioca la carta sexy e si spoglicchia con falsa modestia. La ritroveremo, ad aprile, come precaria arrabbiata con i raccomandati in C’è chi dice no di Giambattista Avellino (collaboratore del duo comico Ficarra e Picone), mentre, insieme al fascinoso Luca Argentero, cerca un’occupazione, scontrandosi con chi ha santi in paradiso. Tema attuale, mentre la legge Gelmini argina Parentopoli all’interno del mondo accademico. In entrambi i film, con la Cortellesi protagonista, fanno da traino energetiche canzoni pop (Nessuno mi può giudicare, eseguita da Caterina Caselli e C’è chi dice no, un classico di Vasco Rossi) ad alleggerire l’operazione fatica contro paga.
E torna alla sua vocazione primigenia Ermanno Olmi, che raccontò la caccia all’impiego fisso ne Il posto, mettendo già in discussione i valori di un Paese e di una cultura, pronti a lasciare l’Italia rurale per quella industriale.

Nell’erigendo film Il villaggio di cartone, per il maestro di Asiago il lavoro resta perno fisso, ma intorno ad esso stavolta girano i clandestini. Se il regista ha rotto il voto del suo ritiro dal cinema, il motivo doveva essere di fondamentale importanza. E lo è.

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